Il
mancino ecuadoriano Andres Gomez, originario di Guayaquil, classe
1960, è senza dubbio una leggenda nel suo piccolo Paese. Figlio
dell'importante direttore di una stazione radio, iniziò a giocare
all'età di 9 anni, sebbene si dedicasse anche al calcio, al basket,
al ping-pong ed alla sua vera passione: il surf. A 17 anni era già
così ben introdotto a Palazzo che ogni mattina giocava con l'allora
potente presidente della Repubblica Osvaldo Hurtado. Dopo la
partecipazione ai Giochi Panamericani, optò definitivamente per il
tennis ed il padre, in seguito, lo mandò a perfezionarsi in Florida
presso la scuola di Harry Hopman, il grande coach e capitano di Davis
australiano dei tempi d'oro. Per questo possiamo affermare che la sua
formazione tennistica è prettamente americana. Fu proprio durante
uno stage presso l'Academy di Hopman che alla Rossignol venne in
mente di formare un'equipe (guidata dall'ottimo Bob Brett) della
quale hanno fatto parte le altre due promesse ecuadoriane, Ycaza e
Viver, oltre che Clerc, Buehning, Wilkison, Kriek, Mayotte ed in
seguito anche Mats Wilander.
Tennis molto gradevole e completo,
adatto sia alla terra che alle superfici veloci, dotato di un
insidiosissimo dritto “uncinato”, Gomez divenne professionista
nel 1979, iniziando a segnalarsi con qualche buon risultato (tra
l'altro semifinali a Monaco e Quito) e avvicinandosi ai primi 50 del
mondo. Nel 1980 proseguì la sua crescita (finale a Sarasota,
semifinali a Santiago e Quito, quarti ad Amburgo, Madrid, Barcellona
e Buenos Aires) entrando tra i Top 50. Il 1981 segnò il suo primo
squillo, col successo di Bordeaux (su Tulasne), oltre alla finale di
Santiago e le semifinali di Washington, Madrid e Quito; da ricordare
un match “epico” perso al tie-break del quinto set agli US Open
contro Jimmy Connors, che attirò l'attenzione di molti addetti ai
lavori. Il 1982 fu l'anno che lo portò a ridosso di quei top ten tra
i quali dimorerà a lungo, e gli permise di qualificarsi per il primo
Masters della carriera, in quel momento con la formula a 16
giocatori: il successo (in finale su Teltscher) in un'edizione un po'
in tono minore degli Internazionali d'Italia, si accompagnò
all'agognato successo nel torneo di casa a Quito (sull'ex promessa
francese Courteau), la finale a Denver e le semifinali a Houston,
Amburgo, San Paolo e Johannesbourg. Sullo stesso livello il 1983, con
Gomez ancora a ridosso dei prima 10, vincitore sul cemento di Dallas
(su Teacher), finalista a North Conway, Indianapolis e Tokyo e
semifinalista a Barcellona e Wembley. Ma la vera consacrazione giunse
nel 1984: ormai 24enne Andres aveva raggiunto la piena maturità ed
ebbe inizio un lungo periodo che lo vide costantemente fra i primi
7/8 (con punte al n°5) giocatori del mondo, capace di giocarsela
alla pari con tutti i migliori. Nel 1984 ricordiamo il bis a Roma (su
Krickstein), Nizza (su Sundstrom), Washington (ancora su Krickstein),
Indianapolis (su Taroczy) e Hong Kong (su Smid), la finale persa a
Wembley con Ivan Lendl, le semifinali a Boston e Tokyo ed i quarti di
finale al Roland Garros, Wimbledon e US Open. Solo un successo (Hong
Kong su Krickstein) e un leggero calo di rendimento nel 1985,
condizionato da problemi fisici che gli fecero perdere parte della
stagione: per lui anche finale ad Indianapolis, semifinale a Fort
Myers, Chicago ed al Masters. Tornò ai suoi migliori livelli nel
1986, vincendo ad Indianapolis (su Tulasne), Firenze (su Sundstrom),
Boston (su Jaite) e Itaparica (su Fleurian), facendo finale a
Kitzbuhel e Hong Kong e semifinali a Fort Myers, Washington e
Stoccarda, oltre che i quarti al Roland Garros. Buono anche il 1987
col successo nel prestigioso Torneo dei Campioni di Forest Hills (su
Noah), la finale di Francoforte, le semifinali di Dallas WCT, Tokyo,
Boston, Ginevra e Johannesbourg e tanti quarti (fra cui ancora di
Parigi). Nel 1988, ormai 28enne e leggermente appesantito, Gomez
sembrava aver avviato il suo naturale declino: chiuse l'anno, dopo
tanto tempo, fuori dai primi 20, senza vincere un solo titolo: le
finali di Stoccarda e Washington, la semifinale di Sydney e qualche
buon quarto di finale lo tennero a galla, ma sotto i suoi abituali
standard. Il 1989 qualche buon segno di ripresa coi successi di
Boston (su Wilander) e Barcellona (su Skoff) e le semifinali di
Firenze e Basilea, ma il i momenti migliori sembravano ormai passati.
Incredibilmente il 1990 si rivelò la stagione della vita! Iniziò la
stagione perdendo sul carpet di Philadelphia dall'astro nascente Pete
Sampras (al suo primo successo in carriera), quindi piazzò alcune
belle zampate sulla terra rossa europea, portando a casa i
prestigiosi tornei di Barcellona (su Perez Roldan) e Madrid (su
Rosset) e arrivando in semifinale a Roma, sconfitto da Muster. A
questo punto Gomez era tornato il n°7 del mondo, ma nessuno si
azzardava a considerarlo uno dei “papabili” per il trono del
Roland Garros. E invece, contro ogni pronostico, il simpatico Andres
colse il più clamoroso ed inatteso successo della sua carriera,
stupendo un po' tutti (anche sé stesso, immaginiamo): infilò Luna,
Filippini e Volkov, usufruì del forfait di Gustafsson e approfittò
della sorte che gli propose nei quarti il non irresistibile Thierry
Champion. In semifinale diede una sonora lezione a Thomas Muster, che
lo aveva appena battuto a Roma ed in finale piegò in 4 set un
favoritissimo e sorpreso Andre Agassi, “intortandolo” sul piano
tattico. Fu il trionfo di un bravo ragazzo e di un Paese intero”! A
questo punto Gomez, n°4 del mondo, sazio di gloria e dollari ebbe
una netta flessione: solo una semifinale a Cincinnati e tante
sconfitte inattese completarono la sua stagione.
Continuò a giocare
per qualche anno, pur frenato da svariati problemi fisici, vincendo
anche un ultimo titolo, al modesto torneo ATP di Brazilia (su
J.Sanchez, nel 1991), ma ormai la vena era esaurita. Piazzò qualche
altro acuto in doppio, specialità della quale fu uno splendido
interprete, specie in coppia col cileno Hans Gildemeister, tanto da
diventare n°1 del mondo e vincere oltre 30 titoli (fra i quali un
successo agli US Open nel 1986 con Bobo Zivojinovic ed uno Roland
Garros nel 1988 con Emilio Sanchez). Si ritirò qualche anno dopo,
entrando, a pieno titolo, nella leggenda dello sport del suo piccolo
ma fiero Paese.
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