L'americano
Ricardo Alonso Gonzalez, noto come Pancho Gonzales, fu un giocatore
strepitoso, inserito a pieno titolo nel lotto dei più grandi di
tutti i tempi. Nato nel 1928, in un sobborgo di Los Angeles, da una
modesta e numerosa famiglia originaria del Messico (Chihuahua, per
l'esattezza), ebbe un'infanzia ribelle, da monello da strada, sinché
la madre non ebbe la brillante idea di regalargli per Natale una
racchetta da tennis. Aveva
14 anni e la sua storia personale cambiò: iniziò a dedicarsi al
tennis con tutto il suo impegno, senza l'aiuto di alcun maestro. I
risultati scolastici ne risentirono immediatamente provocando la sua
espulsione dalla scuola: fu riammesso solo perché alcuni insegnanti
si accorsero delle sue straordinarie qualità sportive (elemento
fondamentale negli U.S.A.). Allora il tennis californiano, e non
solo, era in mano al coach Perry Jones, mentore di Alex Olmedo e poi
capitano di Coppa Davis, il quale dopo un frettoloso test bocciò
Pancho, giudicandolo abulico e poco combattivo. Fu allora, si
racconta nella sua biografia, che giurò a sé stesso: “diventerò
il più grande giocatore di tennis del mondo”.
Dopo
aver dominato a livello giovanile iniziò a giocare i tornei
“amateur" (per dilettanti) sino all'inizio del 1950,
diventando professionista a soli 22 anni e con appena sei tornei
dello Slam disputati (e 2 vittorie agli U.S. Championships del 1948 e 1949).
Amante del gioco d'azzardo, della vita notturna e delle belle donne, un
personaggio come Pancho non poteva non attrarre il grande Jack
Kramer,
deus ex-machina del tennis professionistico, il quale gli offrì un
contratto, all'epoca sontuoso, di centomila dollari per unirsi alla
sua “troupe” di professionisti: Gonzalez , che ne frattempo aveva
modificato il suo cognome in Gonzales, accettò. Troppo forte in lui
era il richiamo del danaro, per ottenere quel riscatto sociale che,
in fondo, aveva sempre cercato: come noto, i professionisti non
potevano prendere parte ai tornei del Grande Slam, dunque il saldo
dei suoi titoli era destinato a chiudersi, purtroppo, a due soli
successi. Iniziò quindi il 25 ottobre del 1949 la sua sfida
interminabile proprio contro il grandissimo Kramer, che gli inflisse
un pesantissimo, e famosissimo, 96-27.
Ma Pancho non si scoraggiò, non era nella sua indole: come professionista svolse un'attività intensa, cogliendo dei risultati straordinari e memorabili, sfidando tutti i più grandi della storia (oltre a Kramer anche Budge, Olmedo, Sedgman, Trabert, Hoad, Rosewall, Laver etc.) e rimanendo per otto anni n°1 del mondo: vinse inoltre ben 12 titoli dello Slam professionistici, secondo in questa graduatoria al solo Ken Rosewall. Tutto questo nonostante all'inizio degli anni '50 avesse temporaneamente abbandonato il tennis, attratto dalla possibilità di godere pienamente il denaro guadagnato. Nel 1968, con l'avvento dell'era Open, ormai quarantenne, riuscì ancora dire la sua, senza purtroppo poter incrementare il bottino di Slam “tradizionali. Spetta a lui il primato (in tal caso negativo) di primo professionista sconfitto da un dilettante (il forte mancino inglese Mark Cox) in un torneo Open: accadde nello storico torneo di Bournemouth del 1968, ossia il primo evento Open della storia del tennis. Di lui si ricorda l'incredibile match giocato a Wimbledon nel 1969 (a 41 anni suonati), prima dell'avvento del tie-break, nel quale batté Charlie Pasarell, portoricano-americano di 16 anni più giovane, col punteggio di 22-24 1-6 16-14 6-3 11-9, stabilendo un record battuto solo dallo storico Isner-Mahut del 2010.
Detiene
inoltre il record, crediamo insuperabile, di giocatore più anziano
capace di vincere un titolo ATP: accadde nel febbraio del 1972 a Des
Moines, nello Iowa, quando a 43 anni e 10 mesi vinse il torneo
sconfiggendo in finale il francese Georges Goven e rimontando, tanto per
cambiare, uno svantaggio di due set a zero. Scomparve in semi-povertà
nel 1995, assistito dalla moglie Rita Agassi (sorella di Andre), sua
sesta moglie; di lui il grande Bud Collins disse “se dovessi
scegliere un tennista al quale far giocare il match decisivo per
salvare la mia vita, non avrei dubbi: sceglierei Pancho Gonzales”.
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