A
quattr'occhi con Bjorn Borg, il grande campione di tennis
“E
per giunta è anche simpatico!”.
di
Franca Zambonini, tratto da Famiglia Cristiana n°36/1978
Bjorn,
secondo lei perché oggi il tennis piace tanto? “Mah....” , la risposta di Bjorn
Borg il numero uno, anzi il numero “unissimo” del tennis mondiale, è tutta qui.
Lennart Bergelin il suo allenatore è un
po' più preciso: “credo che sia per tutto ciò che succede in un campo da
tennis: la concentrazione, il tonfo delle palle sulle racchette, quel modo
curioso di contare i punti 15, 30,40; insomma è la mistica del tennis che
piace”. Eccolo qua il gran profeta della mistica tennistica: un giovanotto
svedese di 22 anni, miliardario, adorato dalle ragazzine. Bjorn significa
“orso”. C'è chi lo chiama “Orsetto” oppure “lo svedese di ghiaccio” o anche,
con gioco di parole, “Iceborg”. È venuto in Sardegna una luminosa domenica
d'agosto, invitato ad esibirsi nel circolo sportivo di Roccaruja, Stintino,
Sassari. Roccaruja (cioè la società Isar, del gruppo Eni, costruttrice di un
villaggio residenziale da 40 miliardi di lire) si frega le mani: ha avuto Bjorn
per poco, cioè, sussurrano, solo per trentamila dollari (25 milioni di lire).
La sua partita contro Zugarelli attira notorietà sul luogo. Dice il foglio distribuito
ai giornalisti che tutto questo “è merito di quell'altra faccia della Sardegna,
che sta facendo sforzi eccezionali per arrivare nell'Olimpo delle stazioni
estive di fama mondiale”. L'altra faccia della Sardegna è quella della costa
nord occidentale, la quale non fu baciata in fronte, al tempo giusto, dall'Aga
Khan e non ebbe così modo di diventare il paradiso dei ricchi, come la Costa
Smeralda. Adesso cerca di rifarsi. Ogni luogo turistico, come si sa, organizza
all'inizio della stagione la caccia alle stelle. Così se Mina fa da richiamo a
Viareggio e Celentano a Rimini, se tutti i manager hanno sognato di attirare in
una notte di mezza estate nientemeno che John Travolta, il divo della disco
music, gli isolani hanno preferito le stelle dello sport. Un bel colpo l'ha
fatto il sindaco di Alghero, che per far guerra alla Costa Smeralda ha
catturato le squadre del Barcellona e del Bastia, con la scusa dell'amicizia
dei popoli sardo, corso e catalano. Ma il miglior carniere della caccia è stato
Borg. Borg è la stella più grossa, è il sole. E si è portato dietro i suoi
pianeti, tra cui Bergelin, maestro e consigliere, cioè come si dice in gergo
tennistico, coach (tutti i tennisti ce l'hanno: Panatta ha Mario
Belardinelli, che è stato allenatore di Mussolini; Jimmy Connors ha per coach
addirittura sua mamma). Bergelin, per una sommetta di poco inferiore a quella
pagata al suo pupillo, si è impegnato per una settimana di tennis clinic.
Chiunque può partecipare, pagando s'intende, a questa clinic e consiste
nel fare con Bergelin sette ore di gioco, con teoria e diagnosi di ogni colpo.
Il che è utile non tanto per migliorare il proprio stile, quanto per dire in
giro per i campi di tennis “questo colpo me l'ha insegnato Bergelin, il coach
di Borg”....
Dicono che tutto quello che Borg tocca diventa oro. È vero.
Perfino le parole. Non solo quelle che dice lui, ma anche quelle che dicono di
lui. Sentite questa: a Parigi quest'anno il nostro Barazzutti, travolto da un
disastroso 18 a 1, ha detto che l'unica
possibilità di battere Bjorn è portarsi in campo una pistola. La frase è
diventata celebre e gli organizzatori di Roccaruja l'hanno acchiappata al volo,
stampando sulle magliette vendute per l'occasione queste parole “nell'agosto
del 1978 a Roccaruja, io ho ucciso Bjorn Borg”. Le magliette (cinquemila lire
l'una) sono andate a ruba e c'erano ragazzi sulla spiaggia più bella di
Stintino, che si chiama La Pelosa, che non facevano il bagno per non levarsi la
storica maglietta. Anche i gesti di Borg sono sponsorizzati: “se lui fa il
bagno qui, questa diventa la migliore acqua del mondo” ci ha detto Franco
Zanera, il comandante dei corsi velici di Roccaruja. Bjorn è vero che lei è lo
sportivo più ricco del mondo? “Che c'è di strano? Io sono un professionista”
risponde. È una risposta scontata: questa domanda gliel'hanno fatta
dappertutto. Come quegli uomini sandwich dei vecchi film di Charlot che
reclamizzavano i salsicciotti, Così oggi un campione va in giro mostrando
marche. La differenza sta solo nel prezzo. Non c'è da scandalizzarsi: non tutti
sono la Sara Simeoni che lotta per i centimetri, non per i dollari. C'era la
birra fino a poco fa sul frontino che regge i capelli di Borg (adesso deve
essergli scaduto il contratto, perché non ce l'ha più). C'è il nome della compagnia
aerea svedese sulla sua manica sinistra. La ditta che lo veste, la ditta che lo
calza, gli danno, solo per scarpe e magliette, mezzo miliardo l'anno. E quanto
alle racchette, deve cambiarle a seconda di dove gioca: ha un contratto diverso
per ogni continente. Ma le tasse, Bjorn, lei le paga? “Come no? In ogni nazione
del mondo dove vinco lascio giù una fetta del premio per le tasse”. Però abita
a Montecarlo, perché il fisco svedese picchia forte. Ingmar Bergman, il celebre
regista, è dovuto andarsene per sfuggire ai colpi. Ci furono polemiche roventi
e tribunali di mezzo. A Borg è andata un po' meglio quando ha rinunciato alla
residenza svedese per prendere quella monegasca. Perché? “Forse i tempi sono
cambiati”. Ma è vero che s'è venduto anche la barba? Aveva una barbetta
caprigna, niente di speciale: dopo la vittoria di Wimbledon se l'è tagliata e
una grossa fabbrica di lamette ha sponsorizzato il taglio, la foto della
rasatura ha occupato uno spazio pubblicitario in tutti giornali. Bjorn le
sembra decente vendersi anche la barba? “Non è vero che me la sono venduta,
avevo già deciso di tagliarmela, quando l'hanno saputo mi hanno pagato per
farlo”. Giusto. Oggi, dopo tutte le spettacolose vittorie di quest'anno, il
ventiduenne svedese è una specie di Multinazionale, una Corporation, un Ente.
Ci manca solo la partecipazione statale. Cioè in pratica ce l'ha perché quando
gioca non a titolo personale ma per la bandiera (il che avviene in Coppa
Davis), la Svezia lo sponsorizza perché tenga alti i colori nazionali.
Gioca
male dicono di Borg gli intenditori. Non sembra uscito da una scuola di tennis
come si deve, aggiungono. In gergo si dice che i suoi colpi sono “sporchi”, che
le sue palle sono “pallacce” e che con lui “non c'è partita”. Però nessuno sa
come fermarlo. Quest'anno ha vinto di seguito a Birmingham, Boca Raton, Las
Vegas, Milano, Roma, Parigi, Wimbledon e Baastad. È in serie da trenta
incontri. Non ha più rivali. Con quella racchetta impugnata due mani, come
un'ascia, fa venire in mente un tagliaboschi. ”Altri hanno il tocco” ci dice
Bergelin “Bjorn lavora sul campo, lavora, lavora e lavora”. Non ha mai uno
scatto di nervi, né una smorfia, né un sorriso. Bjorn, ma davvero lei un
ragazzo di ghiaccio? “Lo dicono tutti.
Ma non è vero. Io lavoro più di mente che di forza. Non mi posso distrarre. Per
questo sembro freddo. Ma le assicuro che dentro sono caldo, eccome. Questa
etichetta del ghiaccio me l'hanno attaccata i giornalisti pigri. Per favore non
lo scriva anche lei”.
C'è una
bella foto pubblicata da tutti i giornali dopo la vittoria di Wimbledon. Si
vede Borg inginocchiato: la sua racchetta vola lontano, le sue braccia sono
tese verso il cielo. Sembra una preghiera. Lo era Bjorn? “Era un ringraziamento
per quello che avevo avuto. Significa molto vincere di seguito Roma, Parigi e
Wimbledon; arrivi al tetto massimo in un momento. E lì senti il bisogno di dire
grazie. Io l'ho detto a Dio. Non sono molto religioso, ma in certi momenti
della vita ti ricordi che Dio c'è e ti protegge”. Sente spesso bisogno di
essere protetto? “Sì oggi affermarsi è duro,
resistere al mio livello diventa sempre più difficile”. C'è già qualcuno
che fa capolino per buttarla giù dal treno? “Per ora non vedo nessuno, ma sa, il
tennis è un'altalena e fai presto ad andare giù”. La “Borg Corporation” è alto
e sottile, tutto muscoli, gli occhi azzurri sono molto vicini, ha i vezzi dei
ragazzi che hanno frequentato le spiagge questa estate: braccialetto, collanina
di perle e coralli, zoccoli sotto l'orlo sfrangiato dei jeans. Ha ottemperato
ai doveri imposti dalla moda, cioè ha visto gli Incontri Ravvicinati del
Terso Tipo e quindi crede fermamente negli Ufo, ha visto La Febbre del
Sabato Sera e, nella discoteca di Capo Falcone, ha accennato qualche passo
alla John Travolta. Qui di fronte a Stintino c'è “La Piana”, l'isola celebre
più per politica che per geografia, infatti è di proprietà di Enrico
Berlinguer, anche se non gli serve a molto, essendo abitata da zanzare, tafani
e tralicci che portano la luce all'Asinara; e più giù si vede appunto
l'Asinara. Chi si avvicina rischia una raffica di mitra, perché è sede di un
carcere speciale per brigatisti rossi. Bjorn accoglie queste informazioni con
distacco cortese, riassumendo qualsiasi commento con un insignificante “very nice”,
molto bello. E chi gli piace di più delle celebrità svedesi? Bergman, il
regista, Stenmark, lo sciatore o magari Live Ullmann, l'attrice? Non lo sa, non
ci ha mai pensato. Giusto. Lui è uno che ha solo un dovere nella vita: pensare
a quella palla che viene incontro a velocità ed angolature variabili, a seconda
della forza dell'intelligenza dell'antagonista del momento. “I run for fun”,
corro per divertirmi, stava scritto sulla maglietta del tanzaniano Bayi, grande
fondista. Bjorn, visto che gioca per vincere, cosa fa per divertirsi? “Io mi
diverto a giocare a tennis”. Intanto è nato il “complesso Borg”, cioè quella
specie di frustrazione degli avversari e di stanchezza del pubblico. È come
quando nel ciclismo c'era Eddy Merckx che vinceva quando voleva e mandava via
la voglia di fare pronostici. Per dare un pizzico di brivido non sarebbe ora
che Borg cominciasse a perdere? Proprio no. Gioco per vincere, non per far
spettacolo, non per i soldi, come dicono”. Questa fu suppergiù la frase che
disse a sua madre Margareta ed a suo padre Rune, quando a 13 anni lasciò la
scuola per giocare solo a tennis. Stavano allora a Sodertalje, mezz'ora di
macchina da Stoccolma; il signor Rune era commesso di negozio ed era
appassionato di ping pong. Una volta vinse un torneo di ping pong: per premio
gli dettero una racchetta di tennis che regalò al suo unico figlio, Bjorn.
Quello fu l'inizio di tutto. Dice Borg: “sono molto grato ai miei genitori.
Perché hanno creduto in me. Mi hanno dato il permesso di lasciare la scuola. Il
patto era che ci sarei ritornato se non fossi diventato un campione. Tutti i
giorni mia madre e mio padre mi accompagnavano in macchina Stoccolma, per gli
allenamenti di tennis. Adesso non c'è giorno che non telefoni a mia madre, in
qualsiasi parte del mondo mi trovi”. Margareta e Rune Borg vivono con il figlio
a Montecarlo; lui gli ha comprato un grande negozio di articoli sportivi. Ha
anche la fidanzata a Montecarlo. È campionessa di tennis, rumena, si chiama
Mariana Simionescu. Si sposeranno, ma non quest'anno. Bjorn pensa di rimandare
all'anno prossimo. È fedele alla sua ragazza uno che vive in mezzo alle
tentazioni delle splendide giovinette che frequentano di solito i campi di
tennis? “Le sono fedelissimo. Mariana è la mia valvola di sicurezza. Per non
diventare matto e pensare sempre al tennis, parlo con lei di altre cose della
vita”.
Davvero pensa a qualche altra cosa oltre che a vincere e a vincere ? “Beh, in
realtà non penso a molte altre cose, ho il mio livello da difendere”.
Quando
cominciò a vincere i giornali intonarono un coro incredibile “occhi color cielo
polare e selvaggia capigliatura da vichingo” cantò per lui Paris Match. Il
Times si scomodò in giochi di parole “a star is Born” scrisse, è nata una
stella, ma invece della parola “Born” usò il nome “Bjorn”. “Affrettati a
crescere, abbiamo bisogno di te” invocò un giornale svedese sei anni fa, quando
la Svezia fu buttata fuori dalla Coppa Davis al primo turno (lui aveva appena
vinto l'Orange Bowl, campionato del mondo per minorenni). Perché vince sempre?
“Perché è una macchina con una marcia in più” ci spiega Gaio Fratini, esperto
di tennis. La “marcia in più” significa vincere a Wimbledon e il giorno dopo
essere alle otto in campo a tirar palle all'allenatore Bergelin; significa
arrivare a New York con dieci giorni di anticipo sull'inizio del torneo per
abituarsi al particolare campo di Flushing Meadows; significa essere gentili
nelle noiosissime conferenze stampa dove tutti chiedono sempre le stesse cose;
significa sopportare con garbo quel grande Barnum del tennis mondiale, fatto
sempre delle stesse facce; significa giocare di mente, “di mente” dice Borg,
toccandosi la testa, quando gli chiedono quale sia il suo segreto; e fa capire
che le palle, più che con la racchetta, si intercettano con il colpo d'occhio,
con una percezione al nanosecondo, con un'anticipazione che nasce dalla grazia
della mente, più che dello scatto delle gambe. La marcia in più significa anche
non girare in Rolls Royce come Gerulaitis, non festeggiare a champagne come
Panatta, non scrivere poesie come Vilas, non fare il clown in campo come
Nastase, non ribellarsi al pubblico a gestacci come Higueras.
Significa
anche essere schietti. Sentite questa. La sera a Roccaruja lo hanno festeggiato
con un grande pranzo d'onore. I vini erano stati scelti tra prestigiose riserve
sarde: c'erano i vermentini, i nuragus, le vernacce che contano. E le aragoste
sono arrivate vive in aereo. Bjorn, simpatico orsetto, si è seduto davanti alla
sparata di bottiglie e ha detto “per favore, a me una birra”. Poi è stato
servito il risotto all'aragosta: lui ne ha assaggiato tre grani e ha chiesto,
tra la costernazione dei presenti, spaghetti al pomodoro. E se li è mangiati
usando, molto giudiziosamente, coltello e forchetta.
(nella foto, Borg e Zugarelli prima del loro match di esibizione giocato a Roccaruja)
(nella foto, Borg e Zugarelli prima del loro match di esibizione giocato a Roccaruja)
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