sabato 23 novembre 2013

WIMBLEDON 1973 : L'ANNO DEL BOICOTTAGGIO.



La storia del tennis è fatta di tante piccole curiosità e aneddoti, molte delle quali sono custodite gelosamente dai diretti protagonisti, altre vengono condivise con pochi appassionati e altre ancora sono di pubblico dominio. Guardando l'albo d'oro dei grandi tornei si possono notare tante cose e ci si possono porre innumerevoli domande: si incontrano meteore, promesse mancate e clamorose delusioni. Dietro ogni grande torneo si nascondono infinite piccole storie: come è possibile che Martin Verkerk si sia giocato la finale del Roland Garros contro Juan Carlos Ferrero? E che dire di quel Chris Lewis che provò, senza successo, a sfidare John McEnroe in finale a Wimbledon? O Iva Majoli che, vincendo, il Roland Garros impedì a Martina Hingis di diventare la quarta donna della storia a centrare il Grande Slam? E ancora Natasha Zvereva, protagonista della più breve finale Slam della storia moderna, battuta 6-0 6-0 dalla Graf a Parigi in poco più di mezz'ora? E Malivai Washington, Mima Jausovec, Andres Gomez, Gaston Gaudio, Albert Costa, Florenta Mihai, Virginia Ruzici, Zeljko Franulovic?
Oggi vogliamo ricordare la più tormentata e difficile edizione di Wimbledon che la storia ricordi: era il 1973 e quell'edizione, prima ancora che quella del trionfo di Jan Kodes, passò alla storia come “l'anno del boicottaggio”.


Tutto ebbe inizio “per colpa” del giocatore jugoslavo Nikola “Niki” Pilic, originario di Spalato, come Goran Ivanisevic (qualcuno lo ricorderà fare un gran tifo per lui nella famosa finale vinta contro Pat Rafter nel 2001): non era un campione, ma un buon giocatore di ormai 34 anni che, proprio quell'anno, aveva ottenuto il miglior risultato della sua carriera giocando (e perdendo nettamente, con l'allora n.1 del mondo Ilie Nastase) la finale del Roland Garros. Poco prima di questo risultato era scoppiata la “magagna”, poiché la federazione jugoslava, presieduta tra l'altro dallo zio dello stesso Pilic, denunciò pubblicamente e sospese Pilic chiedendo l'intervento immediato della International Lawn Tennis Federation (ILTF), la federazione internazionale: il “misfatto” del quale il giocatore si macchiò fu il rifiuto da lui avanzato di fronte ad una convocazione in Coppa Davis per uno spareggio a Zagabria contro la Nuova Zelanda (che vinse per 3-1), al quale lui preferì la partecipazione ad un ricco torneo di doppio che all'epoca si svolgeva a Montreal, il World Doubles WCT. Nonostante la difesa del giocatore, convinto che quel rifiuto fosse nei suoi diritti, la federazione internazionale decise di confermare il provvedimento di quella jugoslava: Pilic fu squalificato per un anno. Il giocatore però non si arrese, anzi: avendo ottime doti politiche e persuasive (come poi dimostrerà in seguito) diede di fatto l'avvio ad un moto di solidarietà da parte dei colleghi tennisti che solo l'anno prima si erano associati nell'ATP (Associazione Tennisti Professionisti), i quali minacciarono il boicottaggio in blocco dei tornei successivi, a partire da quello di Roma, nel caso in cui il provvedimento non fosse stato revocato.


Il braccio di ferro ebbe inizio: in prima battuta gli organizzatori degli Internazionali d'Italia e del Roland Garros, trovarono il giusto escamotage per permettere a Pilic di giocare, ossia il fatto che, essendo il provvedimento della ILTF sotto appello, l'efficacia dello stesso era da ritenersi temporaneamente sospesa. La “patata bollente” passò quindi nelle mani degli organizzatori di Wimbledon: l'opera di negoziazione dei vertici dell'ATP era riuscita ad ottenere la riduzione della squalifica ad un solo mese, ma la ILTF non intendeva muovere un solo altro passo indietro, supportata dagli organizzatori del torneo londinese e dal suo presidente Herman Davis. D'altro canto i tennisti erano irremovibili: se Pilic non avesse giocato il torneo ci sarebbe stato la loro astensione di massa. Nei giorni immediatamente precedenti all'inizio del torneo i giocatori facenti parte del direttivo della neonata ATP si riunivano febbrilmente con i vertici dell'organizzazione, guidata dalla leggenda Jack Kramer e dal grande bimane sudafricano Cliff Drysdale, per decidere se boicottare il torneo oppure giocare e risolvere in seguito la faccenda. Si racconta che il campione in carica Stan Smith volesse giocare per difendere il suo titolo, al contrario, tra gli altri, di Artur Ashe e dello stesso Jack Kramer . La decisione, presa con una piccola votazione in una stanza del Westbury Hotel di Londra, fu sofferta e non unanime: settantanove tennisti, fra cui tredici delle prime sedici teste di serie, non avrebbero preso parte al torneo. Rimasero in campo diversi giocatori dell'Est europeo, specie dei paesi aldilà della “cortina di ferro”, allora ancora troppo legati a logiche di tipo politico (le loro federazioni impedivano ogni trattativa con le associazioni sindacali, motivo per cui essi non erano affiliati all'ATP), moltissimi britannici e alcuni giovanissimi, fra i quali il ventunenne Jimmy Connors e il diciassettenne Bjorn Borg. Il n.1 inglese Roger Taylor, uno dei fondatori dell'ATP, dopo una serie di tormenti e ripensamenti, decise di partecipare ugualmente venendo multato dall'associazione per duemila sterline; stessa sorte toccò a Ilie Nastase che giocò sostenendo di aver ricevuto in tal senso un ordine diretto da Ceausescu (la storia racconta che fu in tal senso smentito dal connazionale Ion Tiriac e beccò anche lui duemila sterline di multa).


Il campo dei partecipanti venne allora gonfiato ad arte, inserendo svariati giocatori inglesi (molti dei quali modesti dilettanti e locali maestri di tennis); le prime otto teste di serie furono: Ilie Nastase, Jan Kodes, Roger Taylor, Aleksandr Metreveli, Owen Davidson, Jimmy Connors, Bjorn Borg e Jurgen Fassbender. Il pubblico sembrò non accorgersi dell'assenza dei principali big ed affollò gli spalti, battendo come sempre il record assoluto di presenze. Negli ottavi si registrò la clamorosa eliminazione del favorito Ilie Nastase, finalista uscente, sconfitto in quattro set dal giovane americano Sandy Mayer, ottimo giocatore e fratello maggiore del più noto Gene che sarebbe in seguito diventato n.4 del mondo. Gli inglesi si esaltarono per le imprese del mancino Roger Taylor che arrivò davvero ad un soffio dalla finale e quindi dalla possibilità di diventare il primo inglese ad alzare la coppa dai tempi di Fred Perry (a tutt'oggi ultimo vincitore inglese in campo maschile): dopo aver vinto un'autentica battaglia nei quarti contro un giovanissimo Bjorn Borg, fu piegato in semifinale solo per 7-5 al quinto dal cecoslavacco Jan Kodes, che nel turno precedente aveva attuato una bella rimonta contro il ventenne indiano Vijay Armitraj. Dall'altra parte del tabellone spuntò a sorpresa il nome del russo Alex Metreveli, vincitore di Jimmy Connors e , in semifinale, di Sandy Mayer. La finale fu poco spettacolare e Jan Kodes, già vincitore del Roland Garros nel 1970 e 1971 e finalista agli Us Open nel 1971 (oltre che in seguito proprio nel 1973), si impose per tre set a zero, col punteggio di 6-1 9-8 6-3 (allora il tie-break si giocava sul 8-8).


La valenza politica di ciò che accadde quell'anno fu fondamentale e si fece sentire nei tempi a seguire: la forza della nuova Associazione Tennisti Professionisti fu evidente a tutti e presto si manifestò sia con l'aumento proporzionale dei montepremi sia con una maggiore presa di coscienza da parte dei tennisti in merito ai propri diritti. La carriera di Pilic proseguì senza ulteriori acuti e scossoni, diventando in seguito apprezzato coach e capitano di Coppa Davis, mentre Jan Kodes risentirà per sempre della ”maledizione” del 1973; non solo non vincerà mai più un torneo dello Slam ma di lui si dirà “campione di Wimbledon? Sì, è vero...ma nell'anno del boicottaggio”! 




(nelle foto, Jan Kodes mostra orgogliosamente il trofeo e Bjorn Borg, alla sua prima partecipazione nel torneo inglese, dopo il tiolo juniores dell'anno precedente)



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