La
storia del tennis è fatta di tante piccole curiosità e aneddoti,
molte delle quali sono custodite gelosamente dai diretti
protagonisti, altre vengono condivise con pochi appassionati e altre
ancora sono di pubblico dominio. Guardando l'albo d'oro dei grandi
tornei si possono notare tante cose e ci si possono porre
innumerevoli domande: si incontrano meteore, promesse mancate e
clamorose delusioni. Dietro ogni grande torneo si nascondono infinite
piccole storie: come è possibile che Martin Verkerk si sia giocato
la finale del Roland Garros contro Juan Carlos Ferrero? E che dire di
quel Chris Lewis che provò, senza successo, a sfidare John McEnroe
in finale a Wimbledon? O Iva Majoli che, vincendo, il Roland Garros
impedì a Martina Hingis di diventare la quarta donna della storia a
centrare il Grande Slam? E ancora Natasha Zvereva, protagonista della
più breve finale Slam della storia moderna, battuta 6-0 6-0 dalla
Graf a Parigi in poco più di mezz'ora? E Malivai Washington, Mima
Jausovec, Andres Gomez, Gaston Gaudio, Albert Costa, Florenta Mihai,
Virginia Ruzici, Zeljko Franulovic?
Oggi
vogliamo ricordare la più tormentata e difficile edizione di
Wimbledon che la storia ricordi: era il 1973 e quell'edizione, prima
ancora che quella del trionfo di Jan Kodes, passò alla storia come
“l'anno del boicottaggio”.
Tutto
ebbe inizio “per colpa” del giocatore jugoslavo Nikola “Niki”
Pilic, originario di Spalato, come Goran Ivanisevic (qualcuno lo
ricorderà fare un gran tifo per lui nella famosa finale vinta contro
Pat Rafter nel 2001): non era un campione, ma un buon giocatore di
ormai 34 anni che, proprio quell'anno, aveva ottenuto il miglior
risultato della sua carriera giocando (e perdendo nettamente, con
l'allora n.1 del mondo Ilie Nastase) la finale del Roland Garros.
Poco prima di questo risultato era scoppiata la “magagna”, poiché
la federazione jugoslava, presieduta tra l'altro dallo zio dello
stesso Pilic, denunciò pubblicamente e sospese Pilic chiedendo
l'intervento immediato della International Lawn Tennis Federation
(ILTF), la federazione internazionale: il “misfatto” del quale il
giocatore si macchiò fu il rifiuto da lui avanzato di fronte ad una
convocazione in Coppa Davis per uno spareggio a Zagabria contro la
Nuova Zelanda (che vinse per 3-1), al quale lui preferì la
partecipazione ad un ricco torneo di doppio che all'epoca si svolgeva
a Montreal, il World Doubles WCT. Nonostante la difesa del giocatore,
convinto che quel rifiuto fosse nei suoi diritti, la federazione
internazionale decise di confermare il provvedimento di quella
jugoslava: Pilic fu squalificato per un anno. Il giocatore però non
si arrese, anzi: avendo ottime doti politiche e persuasive (come poi
dimostrerà in seguito) diede di fatto l'avvio ad un moto di
solidarietà da parte dei colleghi tennisti che solo l'anno prima si
erano associati nell'ATP (Associazione Tennisti Professionisti), i
quali minacciarono il boicottaggio in blocco dei tornei successivi, a
partire da quello di Roma, nel caso in cui il provvedimento non fosse
stato revocato.
Il
braccio di ferro ebbe inizio: in prima battuta gli organizzatori
degli Internazionali d'Italia e del Roland Garros, trovarono il
giusto escamotage per permettere a Pilic di giocare, ossia il fatto
che, essendo il provvedimento della ILTF sotto appello, l'efficacia
dello stesso era da ritenersi temporaneamente sospesa. La “patata
bollente” passò quindi nelle mani degli organizzatori di
Wimbledon: l'opera di negoziazione dei vertici dell'ATP era riuscita
ad ottenere la riduzione della squalifica ad un solo mese, ma la ILTF
non intendeva muovere un solo altro passo indietro, supportata dagli
organizzatori del torneo londinese e dal suo presidente Herman Davis.
D'altro canto i tennisti erano irremovibili: se Pilic non avesse
giocato il torneo ci sarebbe stato la loro astensione di massa. Nei
giorni immediatamente precedenti all'inizio del torneo i giocatori
facenti parte del direttivo della neonata ATP si riunivano
febbrilmente con i vertici dell'organizzazione, guidata dalla
leggenda Jack Kramer e dal grande bimane sudafricano Cliff Drysdale,
per decidere se boicottare il torneo oppure giocare e risolvere in
seguito la faccenda. Si racconta che il campione in carica Stan Smith
volesse giocare per difendere il suo titolo, al contrario, tra gli
altri, di Artur Ashe e dello stesso Jack Kramer . La decisione, presa
con una piccola votazione in una stanza del Westbury Hotel di Londra,
fu sofferta e non unanime: settantanove tennisti, fra cui tredici
delle prime sedici teste di serie, non avrebbero preso parte al
torneo. Rimasero in campo diversi giocatori dell'Est europeo, specie
dei paesi aldilà della “cortina di ferro”, allora ancora troppo
legati a logiche di tipo politico (le loro federazioni impedivano
ogni trattativa con le associazioni sindacali, motivo per cui essi
non erano affiliati all'ATP), moltissimi britannici e alcuni
giovanissimi, fra i quali il ventunenne Jimmy Connors e il
diciassettenne Bjorn Borg. Il n.1 inglese Roger Taylor, uno dei
fondatori dell'ATP, dopo una serie di tormenti e ripensamenti, decise
di partecipare ugualmente venendo multato dall'associazione per
duemila sterline; stessa sorte toccò a Ilie Nastase che giocò
sostenendo di aver ricevuto in tal senso un ordine diretto da
Ceausescu (la storia racconta che fu in tal senso smentito dal
connazionale Ion Tiriac e beccò anche lui duemila sterline di
multa).
Il
campo dei partecipanti venne allora gonfiato ad arte, inserendo
svariati giocatori inglesi (molti dei quali modesti dilettanti e
locali maestri di tennis); le prime otto teste di serie furono: Ilie
Nastase, Jan Kodes, Roger Taylor, Aleksandr Metreveli, Owen Davidson,
Jimmy Connors, Bjorn Borg e Jurgen Fassbender. Il pubblico sembrò
non accorgersi dell'assenza dei principali big ed affollò gli
spalti, battendo come sempre il record assoluto di presenze. Negli
ottavi si registrò la clamorosa eliminazione del favorito Ilie
Nastase, finalista uscente, sconfitto in quattro set dal giovane
americano Sandy Mayer, ottimo giocatore e fratello maggiore del più
noto Gene che sarebbe in seguito diventato n.4 del mondo. Gli inglesi
si esaltarono per le imprese del mancino Roger Taylor che arrivò
davvero ad un soffio dalla finale e quindi dalla possibilità di
diventare il primo inglese ad alzare la coppa dai tempi di Fred Perry
(a tutt'oggi ultimo vincitore inglese in campo maschile): dopo aver
vinto un'autentica battaglia nei quarti contro un giovanissimo Bjorn
Borg, fu piegato in semifinale solo per 7-5 al quinto dal
cecoslavacco Jan Kodes, che nel turno precedente aveva attuato una
bella rimonta contro il ventenne indiano Vijay Armitraj. Dall'altra
parte del tabellone spuntò a sorpresa il nome del russo Alex
Metreveli, vincitore di Jimmy Connors e , in semifinale, di Sandy
Mayer. La finale fu poco spettacolare e Jan Kodes, già vincitore del
Roland Garros nel 1970 e 1971 e finalista agli Us Open nel 1971
(oltre che in seguito proprio nel 1973), si impose per tre set a
zero, col punteggio di 6-1 9-8 6-3 (allora il tie-break si giocava
sul 8-8).
La
valenza politica di ciò che accadde quell'anno fu fondamentale e si
fece sentire nei tempi a seguire: la forza della nuova Associazione
Tennisti Professionisti fu evidente a tutti e presto si manifestò
sia con l'aumento proporzionale dei montepremi sia con una maggiore
presa di coscienza da parte dei tennisti in merito ai propri diritti.
La carriera di Pilic proseguì senza ulteriori acuti e scossoni,
diventando in seguito apprezzato coach e capitano di Coppa Davis,
mentre Jan Kodes risentirà per sempre della ”maledizione” del
1973; non solo non vincerà mai più un torneo dello Slam ma di lui
si dirà “campione di Wimbledon? Sì, è vero...ma nell'anno del
boicottaggio”!
(nelle
foto, Jan Kodes mostra orgogliosamente il trofeo e Bjorn Borg, alla
sua prima partecipazione nel torneo inglese, dopo il tiolo juniores
dell'anno precedente)
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