Alcuni
campioni sono rimasti e rimarranno impressi nella memoria collettiva
per le loro tante vittorie, mentre altri, pur avendo vinto molto
meno, restano nel cuore degli “aficionados” per il loro modo di
interpretare il tennis e per essere dei personaggi assolutamente ed
innegabilmente diversi. E' il caso ad esempio di Adriano Panatta che,
a ben guardare, non ha vinto poi tanto in rapporto ai grandissimi, ma
che tutti noi ricordiamo come fuoriclasse assoluto, per il suo modo
di giocare e in generale per il suo approccio al tennis ed alla vita.
Come lui anche Vitas Gerulaitis, campione e personaggio semplicemente
indimenticabile, in campo e fuori, e protagonista assoluto di un
tennis che ormai non esiste più. Ai suoi tempi era un po' il “primo
dei secondi”, sovrastato dallo strapotere di Borg, McEnroe e
Connors, ma gestiva questo suo ruolo in modo esemplare. Molte le
chiacchiere sul suo conto, qualcuna fondata, la maggior parte no:
Gerulaitis era un professionista al 100%, in caso contrario non
avrebbe mai ottenuto i risultati che hanno impreziosito la sua
meravigliosa carriera.
Nato a Brooklyn nel 1954, Vitas era figlio di
due emigranti lituani, Vitas senior e Aldona: il padre negli anni
'30/40 fu un buon giocatore, considerato il n°1 del suo Paese e
campione nazionale nel 1938. Si riciclò come maestro di tennis a New
York, puntando le sue carte sui due figli, Vitas e Ruta. I primi anni
americani dei Gerulaitis furono duri. Vitas senior, interrogato,
sulla spiccata “propensione alla spesa” del figlio, diceva
“ricordo i primi anni della nostra vita in America come una
punizione; per questo oggi non posso biasimare mio figlio se compera
tutto quello che vuole: ha tutti i soldi e mille ragioni per farlo!”.
Se Ruta, di un anno più giovane, ebbe una carriera non
straordinaria, raggiungendo una finale WTA in doppio e qualche
discreto piazzamento in singolare (anche un quarto di finale al
Roland Garros nel '79), arrivando come massimo intorno al n°30 del
ranking mondiale, con Vitas la storia fu diversa. Formatosi alla
scuola del grande “guru” australiano Harry Hopman, ebbe una buona
carriera giovanile (lo ricordiamo perdere due finali consecutive
all'Orange Bowl, nel 1971 e 1972, contro Barazzutti e Borg), il suo
tennis classico e completo, la sua straordinaria agilità, lo
portarono a livelli di assoluta eccellenza. Vinse un solo titolo
Slam, quello degli Australian Open del 1977 (in finale su John
Lloyd), ma andò in finale sia al Roland Garros (1980, sconfitto da
Borg), che agli US Open (1979, superato da McEnroe). Indimenticabile
anche la semifinale persa a Wimbledon nel 1977 contro Bjorn Borg, al
quinto set, in quello che viene ricordato come uno dei più begli
incontri nella storia del tennis. Proprio Borg fu l'autentica
“ossessione” di Vitas: i due, legati da un'amicizia fraterna, si
affrontarono ben 17 volte, proprio a partire da quella finale
dell'Orange Bowl del 1972, ma Vitas non riuscì mai a spuntarla. Fu
Bjorn l'unico fuoriclasse che non riuscì mai a sconfiggere. Nella
sua splendida carriera, che lo portò sino al terzo posto del ranking
mondiale, ricordiamo 25 titoli ATP su un totale di 54 finali
(compreso l'Open d'Australia già menzionato), fra cui due successi a
Roma nel 1977 e nel 1979. Pur non essendo uno specialista del doppio,
come tutti i suoi contemporanei si disimpegnò egregiamente pure in
questa disciplina, togliendosi anche la soddisfazione di vincere un
titolo a Wimbledon nel 1975, in coppia con Sandy Mayer. Giocò ad
alti livelli anche in Coppa Davis, chiudendo con un saldo di 11
vittorie e 3 sconfitte: lo ricordiamo protagonista dell'edizione del
1979 quando, con McEnroe, Lutz e Smith, formò uno squadrone
imbattibile, che piegò gli azzurri nella finale a senso unico di San
Francisco. Vinse il suo ultimo torneo proprio in Italia, all'indoor
di Treviso nel 1984, regalando gli ultimi sprazzi di un tennis
sublime. Decise di ritirarsi all'inizio del 1986, ormai stanco e
privo di stimoli. Ma il destino gli regalò pochi scampoli di vita:
il 18 settembre del 1994, a 40 anni appena compiuti, una stufa
difettosa lo portò via da questo mondo. A portare la sua bara
c'erano ancora loro, i suoi amici di sempre: Bjorn, John e Jimbo.
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