Quando
vedemmo il cecoslovacco (poi solo slovacco) Miloslav Mecir per la
prima volta in tv, non avremmo scommesso una sola lira sul suo
futuro. Era il mese di settembre del 1984 e il ventenne Mecir giocava
la sua terza finale ATP (dopo quelle perse ad Adelaide nel 1983 e
Colonia nel 1984), quella di Palermo: fu travolto dal nostro
Francesco Cancellotti, dandoci l'impressione di un giocatore lento,
pigro e debole. Questo “tira piano”, pensammo. Mai fummo più
avventati in un giudizio! Lo rivedemmo l'anno dopo a Roma, dove perse
la finale con Yannick Noah, e rimanemmo sbalorditi: col tempo Mecir
si mostrò un giocatore particolarissimo, difficilmente accostabile
ai suoi contemporanei e ad altri del passato. Dotato di un tennis
morbido e di eleganti traiettorie, capace di angolazioni al limite
dell'impossibile, Mecir sapeva essere un giocatore spesso letale.
Aveva delle giornate no, è vero, nelle quali la sua proverbiale
pigrizia prendeva il sopravvento, esponendolo spesso a delle
sconfitte sorprendenti. Ma quando stava bene, poteva risultare
micidiale un po' per tutti: omettiamo infatti la lista delle sue
“vittime illustri” perché dovremmo metterci dentro praticamente
tutti! E costituiva un incubo soprattutto per la folta pattuglia di
svedesi, che lo temeva più del fuoco.
Col tempo, leggemmo che
Vittorio Selmi, straordinario uomo di tennis, gli aveva affibbiato il
nomignolo di “Gattone”, dopo averlo visto appisolato su un
divano, nella pausa fra un match e l'altro. Questo nome si adattava
bene anche alle sue movenze feline in campo e gli rimase incollato
addosso. Conquistò dieci titoli ATP, adattandosi a tutte le
superfici: Rotterdam e Amburgo nel 1985 (su Hlasek e Sundstrom),
Kitzbuhel nel 1986 (su Gomez), Auckland, Sydney, Miami, le WCT Finals
di Dallas, Stoccarda ed Hilversum nel 1987 (su Schapers, Doohan,
Lendl, McEnroe, Gunnarsson e Perez-Roldan) e Indian Wells nel 1988
(su Noah). Sempre nel 1988 conquistò quello è forse il suo alloro
più prestigioso: la medaglia d'oro alle Olimpiadi di Seoul, in finale
sull'americano Tim Mayotte. Due le finali Slam da lui giocate,
entrambe perse con Ivan Lendl, agli US Open del 1986 ed agli
Australian Open del 1989. Memorabile anche il match disputato in
semifinale a Wimbledon contro Edberg, che lo soffriva tremendamente,
nel 1988 e perso al quinto set, dopo aver condotto per due set a
zero.
Condizionato da gravi problemi alla schiena fu purtroppo
costretto a rallentare la sua attività, sino ad arrivare alla
drastica decisione di lasciare il tennis, a soli 26 anni: giocò (e
perse nettamente) il suo ultimo match, curiosamente, di nuovo contro
Stefan Edberg al torneo di Wimbledon del 1990. Nella sua breve
carriera arrivò al quarto posto del ranking mondiale sia in
singolare che in doppio ed in tempi più recenti lo abbiamo visto sia
nelle vesti di coach del connazionale Karol Kucera (che un po' gli
somigliava e che portò fra i primi dieci del mondo), che come
capitano del team slovacco di Coppa Davis
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