L'argentino
Alberto Mancini può forse rientrare nella categoria delle “meteore”
tennistiche, in rapporto alla brevità ed intensità della sua
carriera. Classe 1969, divenne professionista nel 1987, segnalandosi
subito per la sua forza fisica e la solidità del suo gioco da fondo.
In quel periodo tramontavano le stelle dei grandissimi Guillermo
Vilas e Josè Luis Clerc ed emergevano i nuovi, fra i quali i già
menzionati Martin Jaite (che ebbe una carriera più lunga) e
Guillermo Perz-Roldan.
Nel 1987 Mancini si segnalò con alcuni
discreti risultati in tornei minori, per poi emergere definitivamente
nel 1988, quando si aggiudicò i due challenger di San Paolo e
Lisbona, prima di vincere il suo primo titolo ATP, quello di Bologna
(in finale su Emilio Sanchez) e raggiungere le semifinali a Madrid,
St.Vincent e Buenos Aires, chiudendo l'anno fra i primi 50 del mondo.
Il vero boom giunse però nel 1989, quando Alberto mise a segno una
strepitosa stagione sulla terra rossa, infilando una clamorosa
doppietta coi successi di Montecarlo (in finale su Becker) e Roma
(quando batté in una epica finale Andre Agassi al quinto set, dopo
avergli annullato un match-point nel quarto): fu anche semifinalista
a Barcellona e nei quarti al Roland Garros, conquistando il best
ranking di n°8. Fu un quel periodo che la FIT fece un (maldestro)
tentativo di sfruttare le sue chiare origini italiane per portarlo a
giocare sotto la nostra bandiera. Pian piano il suo rendimento calò
e nel 1990 inanellò una delusione dopo l'altra, chiudendo
addirittura l'anno fuori dai primi cento.
Tornò in auge nelle due
stagioni successive, recuperando un ranking dignitoso e tornando, in
un certo momento, nuovamente a ridosso dei top ten: dopo il successo
nel challenger di Santiago (giocato proprio per risalire la china),
ricordiamo nel 1991 una nuova finale a Roma (si ritirò con Emilio
Sanchez nel terzo set, a match ormai compromesso) e poi a Bastad e
Stoccarda outdoor. Nel 1992 ottenne il suo miglior risultato sul
veloce, raggiungendo una inattesa finale al Lipton di Miami, dove
sconfisse anche Boris Becker e Krajicek, prima di cedere a Michael
Chang; perse anche sulla terra rossa la finale di Kitzbuhel (da Pete
Sampras) e giunse in semifinale a Barcellona. Ma da quel momento, ad
eccezione della semifinale raggiunta a San Paolo, ebbe inizio la
definitiva parabola discendente, che lo portò al ritiro nel 1994, a
soli 25 anni, dopo una lunghissima serie di risultati negativi.
Qualcuno scrisse che Mancini amava la bella vita e non riusciva a
reggere i terribili ritmi imposti dal circuito professionistico,
qualche altro imputò il calo a dei problemi fisici: comunque sia, la
carriera si concluse così. Con i suoi tre successi di prestigio e
una serie di “ vittime” illustri: Becker, Wilander, Ivanisevic,
Agassi, Muster, Bruguera, Leconte, Gilbert, K.Carlsson, Krajicek. Lo
ricordiamo in seguito prima come coach di Guillermo Coria e poi come
capitano del team argentino di Coppa Davis.
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