giovedì 28 novembre 2013

PILLOLE DAL PASSATO (ITALIA) : CLAUDIO PANATTA





Non deve essere stato facile per Claudio costruirsi una buona carriera nel tennis, crescendo all'ombra di un fratello così famoso e carismatico, col quale doveva, suo malgrado, sempre confrontarsi. Dall'aria spesso triste e rabbuiata, non faceva niente per smentire ciò che si scriveva sul suo conto, ossia che lui era un tennista “per obbligo familiare”, ma non amava assolutamente questo sport. 
Di dieci anni più giovane di Adriano, iniziò a mettersi in evidenza nel 1982, quando raggiunse la prima finale Grand Prix al torneo del Cairo (sconfitto dall'attuale presidente dell'ATP Brad Drewett) e le semifinali a Guaruja e Nizza: grazie ad una buona programmazione riuscì ad entrare fra i primi 100 giocatori del mondo. Nel 1983 i miglioramenti continuarono e, pur senza ottenere risultati eclatanti ma buoni piazzamenti, Claudio rafforzò la sua classifica, fino a che un buon inizio del 1984 non lo portò a raggiungere, nel mese di giugno, il suo best ranking di n°46, in seguito alla conquista dei quarti di finale a Roma e del terzo turno al Roland Garros. Si attendeva un ulteriore salto di qualità, ma da quel momento arrivarono invece numerose sconfitte nei primi turni, con avversari spesso non trascendentali, che lo fecero precipitare fuori dai primi 100. 

Nel 1985 ci fu una buona ripresa, coronata dall'unico titolo ATP della carriera (quello di Bari, in finale su Duncan), dalla finale di Bologna (persa con Tulasne) e dal titolo di campione italiano assoluto, conquistato a Torino; ma fu soprattutto al Torneo dei Campioni di Forest Hills che si vide il miglior Claudio Panatta, quando batté Gildemeister, De La Pena e Pate prima di perdere nei quarti dall'allora n°1 del mondo John McEnroe, ma solo per 7-6 al terzo set, disputando quello che viene ricordato come il miglior match della sua carriera. Finito l'anno intorno all'ottantesimo posto, a partire dall'anno successivo ebbe inizio una grave crisi di risultati e di fiducia, da cui Claudio non riuscì più a riprendersi pienamente: perse tanti match sul filo di lana e precipitò nel ranking di singolare, costruendosi peraltro una buona carriera come doppista (vinse sei titoli, con compagni diversi). Riuscì a piazzare ancora una “zampata” in singolare arrivando alla finale del torneo ATP di Firenze nel 1988 (persa con Narducci), prima di scivolare lentamente verso il basso. In carriera sconfisse top-ten e giocatori di ottima qualità, quali Clerc, Kriek, Higueras, Arias, Tulasne, Edmondson e Smid. 

Conflittuale fu il suo rapporto con la Coppa Davis, a partire dai suoi match d'esordio persi a Reggio Calabria nel 1983, contro i modesti irlandesi Doyle e Sorensen: chiuse con un bilancio, fra singolare e doppio, di 7 vittorie (ricordiamo quella con Pecci e con il coreano Yoo) e 12 sconfitte (dolorosa quella con Vijay Armitraj a Calcutta, ma anche quella a Seoul col coreano Song). Di lui ricordiamo infine il match trasmesso in diretta tv col classico “passaggio di consegne”, vinto col fratello Adriano nella semifinale degli Assoluti di Sanremo 1982, prima di perdere in finale con Corrado Barazzutti.

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