Non
deve essere stato facile per Claudio costruirsi una buona carriera
nel tennis, crescendo all'ombra di un fratello così famoso e
carismatico, col quale doveva, suo malgrado, sempre confrontarsi.
Dall'aria spesso triste e rabbuiata, non faceva niente per smentire
ciò che si scriveva sul suo conto, ossia che lui era un tennista “per
obbligo familiare”, ma non amava assolutamente questo sport.
Di
dieci anni più giovane di Adriano, iniziò a mettersi in evidenza
nel 1982, quando raggiunse la prima finale Grand Prix al torneo del
Cairo (sconfitto dall'attuale presidente dell'ATP Brad Drewett) e le
semifinali a Guaruja e Nizza: grazie ad una buona programmazione
riuscì ad entrare fra i primi 100 giocatori del mondo. Nel 1983 i
miglioramenti continuarono e, pur senza ottenere risultati eclatanti
ma buoni piazzamenti, Claudio rafforzò la sua classifica, fino a che
un buon inizio del 1984 non lo portò a raggiungere, nel mese di
giugno, il suo best ranking di n°46, in seguito alla conquista dei
quarti di finale a Roma e del terzo turno al Roland Garros. Si
attendeva un ulteriore salto di qualità, ma da quel momento
arrivarono invece numerose sconfitte nei primi turni, con avversari
spesso non trascendentali, che lo fecero precipitare fuori dai primi
100.
Nel 1985 ci fu una buona ripresa, coronata dall'unico titolo ATP
della carriera (quello di Bari, in finale su Duncan), dalla finale di
Bologna (persa con Tulasne) e dal titolo di campione italiano
assoluto, conquistato a Torino; ma fu soprattutto al Torneo dei
Campioni di Forest Hills che si vide il miglior Claudio Panatta,
quando batté Gildemeister, De La Pena e Pate prima di perdere nei
quarti dall'allora n°1 del mondo John McEnroe, ma solo per 7-6 al
terzo set, disputando quello che viene ricordato come il miglior
match della sua carriera. Finito l'anno intorno all'ottantesimo
posto, a partire dall'anno successivo ebbe inizio una grave crisi di
risultati e di fiducia, da cui Claudio non riuscì più a riprendersi
pienamente: perse tanti match sul filo di lana e precipitò nel
ranking di singolare, costruendosi peraltro una buona carriera come
doppista (vinse sei titoli, con compagni diversi). Riuscì a piazzare
ancora una “zampata” in singolare arrivando alla finale del
torneo ATP di Firenze nel 1988 (persa con Narducci), prima di
scivolare lentamente verso il basso. In carriera sconfisse top-ten e
giocatori di ottima qualità, quali Clerc, Kriek, Higueras, Arias,
Tulasne, Edmondson e Smid.
Conflittuale fu il suo rapporto con la
Coppa Davis, a partire dai suoi match d'esordio persi a Reggio
Calabria nel 1983, contro i modesti irlandesi Doyle e Sorensen:
chiuse con un bilancio, fra singolare e doppio, di 7 vittorie
(ricordiamo quella con Pecci e con il coreano Yoo) e 12 sconfitte
(dolorosa quella con Vijay Armitraj a Calcutta, ma anche quella a
Seoul col coreano Song). Di lui ricordiamo infine il match trasmesso
in diretta tv col classico “passaggio di consegne”, vinto col
fratello Adriano nella semifinale degli Assoluti di Sanremo 1982, prima di perdere in finale con
Corrado Barazzutti.
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