giovedì 21 novembre 2013

FAMIGLIA CRISTIANA INTERVISTA BJORN BORG (ANNO 1978)



A quattr'occhi con Bjorn Borg, il grande campione di tennis
“E per giunta è anche simpatico!”.

di Franca Zambonini, tratto da Famiglia Cristiana n°36/1978

Bjorn, secondo lei perché oggi il tennis piace tanto? “Mah....” , la risposta di Bjorn Borg il numero uno, anzi il numero “unissimo” del tennis mondiale, è tutta qui. Lennart  Bergelin il suo allenatore è un po' più preciso: “credo che sia per tutto ciò che succede in un campo da tennis: la concentrazione, il tonfo delle palle sulle racchette, quel modo curioso di contare i punti 15, 30,40; insomma è la mistica del tennis che piace”. Eccolo qua il gran profeta della mistica tennistica: un giovanotto svedese di 22 anni, miliardario, adorato dalle ragazzine. Bjorn significa “orso”. C'è chi lo chiama “Orsetto” oppure “lo svedese di ghiaccio” o anche, con gioco di parole, “Iceborg”. È venuto in Sardegna una luminosa domenica d'agosto, invitato ad esibirsi nel circolo sportivo di Roccaruja, Stintino, Sassari. Roccaruja (cioè la società Isar, del gruppo Eni, costruttrice di un villaggio residenziale da 40 miliardi di lire) si frega le mani: ha avuto Bjorn per poco, cioè, sussurrano, solo per trentamila dollari (25 milioni di lire). La sua partita contro Zugarelli attira notorietà sul luogo. Dice il foglio distribuito ai giornalisti che tutto questo “è merito di quell'altra faccia della Sardegna, che sta facendo sforzi eccezionali per arrivare nell'Olimpo delle stazioni estive di fama mondiale”. L'altra faccia della Sardegna è quella della costa nord occidentale, la quale non fu baciata in fronte, al tempo giusto, dall'Aga Khan e non ebbe così modo di diventare il paradiso dei ricchi, come la Costa Smeralda. Adesso cerca di rifarsi. Ogni luogo turistico, come si sa, organizza all'inizio della stagione la caccia alle stelle. Così se Mina fa da richiamo a Viareggio e Celentano a Rimini, se tutti i manager hanno sognato di attirare in una notte di mezza estate nientemeno che John Travolta, il divo della disco music, gli isolani hanno preferito le stelle dello sport. Un bel colpo l'ha fatto il sindaco di Alghero, che per far guerra alla Costa Smeralda ha catturato le squadre del Barcellona e del Bastia, con la scusa dell'amicizia dei popoli sardo, corso e catalano. Ma il miglior carniere della caccia è stato Borg. Borg è la stella più grossa, è il sole. E si è portato dietro i suoi pianeti, tra cui Bergelin, maestro e consigliere, cioè come si dice in gergo tennistico, coach (tutti i tennisti ce l'hanno: Panatta ha Mario Belardinelli, che è stato allenatore di Mussolini; Jimmy Connors ha per coach addirittura sua mamma). Bergelin, per una sommetta di poco inferiore a quella pagata al suo pupillo, si è impegnato per una settimana di tennis clinic. Chiunque può partecipare, pagando s'intende, a questa clinic e consiste nel fare con Bergelin sette ore di gioco, con teoria e diagnosi di ogni colpo. Il che è utile non tanto per migliorare il proprio stile, quanto per dire in giro per i campi di tennis “questo colpo me l'ha insegnato Bergelin, il coach di Borg”.... 

Dicono che tutto quello che Borg tocca diventa oro. È vero. Perfino le parole. Non solo quelle che dice lui, ma anche quelle che dicono di lui. Sentite questa: a Parigi quest'anno il nostro Barazzutti, travolto da un disastroso 18 a 1,  ha detto che l'unica possibilità di battere Bjorn è portarsi in campo una pistola. La frase è diventata celebre e gli organizzatori di Roccaruja l'hanno acchiappata al volo, stampando sulle magliette vendute per l'occasione queste parole “nell'agosto del 1978 a Roccaruja, io ho ucciso Bjorn Borg”. Le magliette (cinquemila lire l'una) sono andate a ruba e c'erano ragazzi sulla spiaggia più bella di Stintino, che si chiama La Pelosa, che non facevano il bagno per non levarsi la storica maglietta. Anche i gesti di Borg sono sponsorizzati: “se lui fa il bagno qui, questa diventa la migliore acqua del mondo” ci ha detto Franco Zanera, il comandante dei corsi velici di Roccaruja. Bjorn è vero che lei è lo sportivo più ricco del mondo? “Che c'è di strano? Io sono un professionista” risponde. È una risposta scontata: questa domanda gliel'hanno fatta dappertutto. Come quegli uomini sandwich dei vecchi film di Charlot che reclamizzavano i salsicciotti, Così oggi un campione va in giro mostrando marche. La differenza sta solo nel prezzo. Non c'è da scandalizzarsi: non tutti sono la Sara Simeoni che lotta per i centimetri, non per i dollari. C'era la birra fino a poco fa sul frontino che regge i capelli di Borg (adesso deve essergli scaduto il contratto, perché non ce l'ha più). C'è il nome della compagnia aerea svedese sulla sua manica sinistra. La ditta che lo veste, la ditta che lo calza, gli danno, solo per scarpe e magliette, mezzo miliardo l'anno. E quanto alle racchette, deve cambiarle a seconda di dove gioca: ha un contratto diverso per ogni continente. Ma le tasse, Bjorn, lei le paga? “Come no? In ogni nazione del mondo dove vinco lascio giù una fetta del premio per le tasse”. Però abita a Montecarlo, perché il fisco svedese picchia forte. Ingmar Bergman, il celebre regista, è dovuto andarsene per sfuggire ai colpi. Ci furono polemiche roventi e tribunali di mezzo. A Borg è andata un po' meglio quando ha rinunciato alla residenza svedese per prendere quella monegasca. Perché? “Forse i tempi sono cambiati”. Ma è vero che s'è venduto anche la barba? Aveva una barbetta caprigna, niente di speciale: dopo la vittoria di Wimbledon se l'è tagliata e una grossa fabbrica di lamette ha sponsorizzato il taglio, la foto della rasatura ha occupato uno spazio pubblicitario in tutti giornali. Bjorn le sembra decente vendersi anche la barba? “Non è vero che me la sono venduta, avevo già deciso di tagliarmela, quando l'hanno saputo mi hanno pagato per farlo”. Giusto. Oggi, dopo tutte le spettacolose vittorie di quest'anno, il ventiduenne svedese è una specie di Multinazionale, una Corporation, un Ente. Ci manca solo la partecipazione statale. Cioè in pratica ce l'ha perché quando gioca non a titolo personale ma per la bandiera (il che avviene in Coppa Davis), la Svezia lo sponsorizza perché tenga alti i colori nazionali. 

Gioca male dicono di Borg gli intenditori. Non sembra uscito da una scuola di tennis come si deve, aggiungono. In gergo si dice che i suoi colpi sono “sporchi”, che le sue palle sono “pallacce” e che con lui “non c'è partita”. Però nessuno sa come fermarlo. Quest'anno ha vinto di seguito a Birmingham, Boca Raton, Las Vegas, Milano, Roma, Parigi, Wimbledon e Baastad. È in serie da trenta incontri. Non ha più rivali. Con quella racchetta impugnata due mani, come un'ascia, fa venire in mente un tagliaboschi. ”Altri hanno il tocco” ci dice Bergelin “Bjorn lavora sul campo, lavora, lavora e lavora”. Non ha mai uno scatto di nervi, né una smorfia, né un sorriso. Bjorn, ma davvero lei un ragazzo di ghiaccio?  “Lo dicono tutti. Ma non è vero. Io lavoro più di mente che di forza. Non mi posso distrarre. Per questo sembro freddo. Ma le assicuro che dentro sono caldo, eccome. Questa etichetta del ghiaccio me l'hanno attaccata i giornalisti pigri. Per favore non lo scriva anche lei”.

 C'è una bella foto pubblicata da tutti i giornali dopo la vittoria di Wimbledon. Si vede Borg inginocchiato: la sua racchetta vola lontano, le sue braccia sono tese verso il cielo. Sembra una preghiera. Lo era Bjorn? “Era un ringraziamento per quello che avevo avuto. Significa molto vincere di seguito Roma, Parigi e Wimbledon; arrivi al tetto massimo in un momento. E lì senti il bisogno di dire grazie. Io l'ho detto a Dio. Non sono molto religioso, ma in certi momenti della vita ti ricordi che Dio c'è e ti protegge”. Sente spesso bisogno di essere protetto? “Sì oggi affermarsi è duro,  resistere al mio livello diventa sempre più difficile”. C'è già qualcuno che fa capolino per buttarla giù dal treno? “Per ora non vedo nessuno, ma sa, il tennis è un'altalena e fai presto ad andare giù”. La “Borg Corporation” è alto e sottile, tutto muscoli, gli occhi azzurri sono molto vicini, ha i vezzi dei ragazzi che hanno frequentato le spiagge questa estate: braccialetto, collanina di perle e coralli, zoccoli sotto l'orlo sfrangiato dei jeans. Ha ottemperato ai doveri imposti dalla moda, cioè ha visto gli Incontri Ravvicinati del Terso Tipo e quindi crede fermamente negli Ufo, ha visto La Febbre del Sabato Sera e, nella discoteca di Capo Falcone, ha accennato qualche passo alla John Travolta. Qui di fronte a Stintino c'è “La Piana”, l'isola celebre più per politica che per geografia, infatti è di proprietà di Enrico Berlinguer, anche se non gli serve a molto, essendo abitata da zanzare, tafani e tralicci che portano la luce all'Asinara; e più giù si vede appunto l'Asinara. Chi si avvicina rischia una raffica di mitra, perché è sede di un carcere speciale per brigatisti rossi. Bjorn accoglie queste informazioni con distacco cortese, riassumendo qualsiasi commento con un insignificante “very nice”, molto bello. E chi gli piace di più delle celebrità svedesi? Bergman, il regista, Stenmark, lo sciatore o magari Live Ullmann, l'attrice? Non lo sa, non ci ha mai pensato. Giusto. Lui è uno che ha solo un dovere nella vita: pensare a quella palla che viene incontro a velocità ed angolature variabili, a seconda della forza dell'intelligenza dell'antagonista del momento. “I run for fun”, corro per divertirmi, stava scritto sulla maglietta del tanzaniano Bayi, grande fondista. Bjorn, visto che gioca per vincere, cosa fa per divertirsi? “Io mi diverto a giocare a tennis”. Intanto è nato il “complesso Borg”, cioè quella specie di frustrazione degli avversari e di stanchezza del pubblico. È come quando nel ciclismo c'era Eddy Merckx che vinceva quando voleva e mandava via la voglia di fare pronostici. Per dare un pizzico di brivido non sarebbe ora che Borg cominciasse a perdere? Proprio no. Gioco per vincere, non per far spettacolo, non per i soldi, come dicono”. Questa fu suppergiù la frase che disse a sua madre Margareta ed a suo padre Rune, quando a 13 anni lasciò la scuola per giocare solo a tennis. Stavano allora a Sodertalje, mezz'ora di macchina da Stoccolma; il signor Rune era commesso di negozio ed era appassionato di ping pong. Una volta vinse un torneo di ping pong: per premio gli dettero una racchetta di tennis che regalò al suo unico figlio, Bjorn. Quello fu l'inizio di tutto. Dice Borg: “sono molto grato ai miei genitori. Perché hanno creduto in me. Mi hanno dato il permesso di lasciare la scuola. Il patto era che ci sarei ritornato se non fossi diventato un campione. Tutti i giorni mia madre e mio padre mi accompagnavano in macchina Stoccolma, per gli allenamenti di tennis. Adesso non c'è giorno che non telefoni a mia madre, in qualsiasi parte del mondo mi trovi”. Margareta e Rune Borg vivono con il figlio a Montecarlo; lui gli ha comprato un grande negozio di articoli sportivi. Ha anche la fidanzata a Montecarlo. È campionessa di tennis, rumena, si chiama Mariana Simionescu. Si sposeranno, ma non quest'anno. Bjorn pensa di rimandare all'anno prossimo. È fedele alla sua ragazza uno che vive in mezzo alle tentazioni delle splendide giovinette che frequentano di solito i campi di tennis? “Le sono fedelissimo. Mariana è la mia valvola di sicurezza. Per non diventare matto e pensare sempre al tennis, parlo con lei di altre cose della vita”.
Davvero pensa a qualche altra cosa oltre che a vincere e a vincere ? “Beh, in realtà non penso a molte altre cose, ho il mio livello da difendere”. 

Quando cominciò a vincere i giornali intonarono un coro incredibile “occhi color cielo polare e selvaggia capigliatura da vichingo” cantò per lui Paris Match. Il Times si scomodò in giochi di parole “a star is Born” scrisse, è nata una stella, ma invece della parola “Born” usò il nome “Bjorn”. “Affrettati a crescere, abbiamo bisogno di te” invocò un giornale svedese sei anni fa, quando la Svezia fu buttata fuori dalla Coppa Davis al primo turno (lui aveva appena vinto l'Orange Bowl, campionato del mondo per minorenni). Perché vince sempre? “Perché è una macchina con una marcia in più” ci spiega Gaio Fratini, esperto di tennis. La “marcia in più” significa vincere a Wimbledon e il giorno dopo essere alle otto in campo a tirar palle all'allenatore Bergelin; significa arrivare a New York con dieci giorni di anticipo sull'inizio del torneo per abituarsi al particolare campo di Flushing Meadows; significa essere gentili nelle noiosissime conferenze stampa dove tutti chiedono sempre le stesse cose; significa sopportare con garbo quel grande Barnum del tennis mondiale, fatto sempre delle stesse facce; significa giocare di mente, “di mente” dice Borg, toccandosi la testa, quando gli chiedono quale sia il suo segreto; e fa capire che le palle, più che con la racchetta, si intercettano con il colpo d'occhio, con una percezione al nanosecondo, con un'anticipazione che nasce dalla grazia della mente, più che dello scatto delle gambe. La marcia in più significa anche non girare in Rolls Royce come Gerulaitis, non festeggiare a champagne come Panatta, non scrivere poesie come Vilas, non fare il clown in campo come Nastase, non ribellarsi al pubblico a gestacci come Higueras.

Significa anche essere schietti. Sentite questa. La sera a Roccaruja lo hanno festeggiato con un grande pranzo d'onore. I vini erano stati scelti tra prestigiose riserve sarde: c'erano i vermentini, i nuragus, le vernacce che contano. E le aragoste sono arrivate vive in aereo. Bjorn, simpatico orsetto, si è seduto davanti alla sparata di bottiglie e ha detto “per favore, a me una birra”. Poi è stato servito il risotto all'aragosta: lui ne ha assaggiato tre grani e ha chiesto, tra la costernazione dei presenti, spaghetti al pomodoro. E se li è mangiati usando, molto giudiziosamente, coltello e forchetta.

(nella foto, Borg e Zugarelli prima del loro match di esibizione giocato a Roccaruja)

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