sabato 30 novembre 2013

CHI SI RICORDA DI.....JEFF BOROWIAK?




Uno dei personaggi più atipici e particolari della storia del tennis è stato senza dubbio l'americano di Berkeley Jeff Borowiak, di oirgine polacca. Dopo un'eccellente attività a livello giovanile ed universitario (vinse il prestigioso titolo individuale NCAA nel 1970 – oltre che quello a squadre con l'UCLA - e perse la finale dell'Orange Bowl 1967 contro Mike Estep), Borowiak intraprese la carriera professionistica, ottenendo dei risultati di tutto rispetto. 

Classe 1949, già alla fine degli anni '60 lo ricordiamo protagonista di una buona attività in California: si aggiudicò nel 1967 i Northern California Championships (su Anderson) e nel 1969 l'importante Charlie Farrell Invitation di Palm Springs (su Leonard). Nel 1971 arrivò al quarto turno a Wimbledon ed in finale al WCT di Colonia, sconfitto da Lutz; nel 1972 perse da Richey la finale di Bretton Woods. Ottima annata il 1974, impreziosita, fra l'altro, dai primi due titoli ATP (a Oslo su Meiler ed Charlotte su Stockton) e dalla finale al WCT di New Orleans (con Newcombe). Meno brillante, anche se discreto, il rendimento nel 1975 (semifinali a Caracas e San Francisco) e nel 1976 (finale a WCT di Atlanta, sconfitto da Nastase dopo aver battuto Borg, semifinali a Lagos e Caracas). Miglior stagione fu senza dubbio il 1977, con il best ranking ATP (n°20) e ben tre successi: Dayton (su Mottram), Gstaad (su Caujolle) e Montreal (su J.Filliol), oltre alle semifinali di Philadelphia, Hampton e Parigi indoor. Negli anni seguenti il rendimento scese invece notevolmente, così come il ranking ATP: gli appassionati italiani lo ricordano vincitore a sorpresa su Adriano Panatta al secondo turno del Roland Garros 1978.....per il resto ben pochi acuti da segnalare, mentre Jeff arriva quasi a sfiorare il 200° posto mondiale. Ritrova un buon tennis nel 1981 quando, ormai 32enne, disputa le ultime due finali ATP, a Tampa (sconfitto da Purcell) ed a Johannesbourg (battuto da Gerulaitis) e giunge al quarto turno a Wimbledon. Gioca ancora sino alla metà degli anni '80 senza ottenere altri risultati di rilievo. Da segnalare anche tre titoli di doppio, fra cui quello di Bretton Woods 1974, vinto in coppia col grande Rod Laver.

Borowiak attualmente vive a Seattle in un modesto appartamento: là si dedica al pianoforte (è un eccellente musicista, visto che suona anche il flauto) ed alla meditazione buddhista. Solo occasionalmente tiene qualche lezione di tennis, per arrotondare. Già quando giocava si ricordano delle interviste nelle quali spiegava la sua filosofia ed il modo di intendere la vita: il suo mentore e padre spirituale fu l'ex-giocatore danese Torben Ulrich (del quale abbiamo già parlato, certamente il personaggio più particolare che si sia mai visto in giro nel circuito). Dopo un match giocato a Philadelphia e terminato ben oltre l'una di notte davanti a soli sei spettatori, di cui uno era il fuoriclasse della NBA Wilt Chamberlin, il 18enne Jeff fu come folgorato dal quasi quarantenne Ulrich, che gli trasmise il suo modo naif di interpretare la professione di tennista e la vita in genere. Filosofia, musica, uso di sostanze “non convenzionali” entrarono nella vita di Jeff che, in alcuni periodi, arrivò a girare l'Europa in moto o con un pullmino, con le racchette tenute insieme da uno spago. Ma nonostante tutto a tennis sapeva giocarci eccome, se è vero che, oltre ai risultati sopra menzionati, in carriera ha battuto due volte Borg, Newcombe, Connors, Smith, Ramirez, Gerulaitis, Gene e Sandy Mayer, Gottfried, Solomon, Richey Metreveli, Okker, Clerc...oltre ad un giovane Edberg ed a leggende del calibro di Sedgman e Fraser!

CHI SI RICORDA DI....FRANCOIS JAUFFRET?



Si è spesso indicato il francese Francois Jauffret come la “bestia nera” di Adriano Panatta. Fermo restando che Adriano, nella sua grande carriera, ha spesso perso da avversari a lui inferiori (e ben meno dotati di Jauffret), la definizione ci è sempre parsa eccessiva: infatti il saldo fra i due vede il francese avanti per 3-2, con le sue vittorie nei primi tre match (al Roland Garros nel 1970, quando Adriano era appena ventenne, ancora al Roland Garros in Coppa Davis nel 1975, quando fummo inopinatamente sconfitti dalla Francia ed infine nell'anno migliore di Panatta, il 1976, con la sconfitta di Montecarlo) e quelle di Adriano in Coppa Davis a Roma nel 1977 (a punteggio acquisito) ed a Bruxelles nel 1978. 

Francois Jauffret nacque a Bordeaux nel 1942 ed ebbe un'ottima carriera nel corso degli anni '60 e '70: svolse la sua carriera pre-open da amateur e successivamente raggiunse un best ranking ATP di n°20, a ben 32 anni. Nel suo palmares ricordiamo due semifinali al Roland Garros, nel 1966 sconfitto da Tony Roche e nel 1974 superato da Manolo Orantes. Sempre a Parigi raggiunse i quarti nel 1970, sconfitto da Georges Goven, e giocò nel 1976, a 34 anni, un match memorabile e durissimo di quarto turno contro Bjorn Borg, perdendo per 10-8 al quinto set e facendo indirettamente un favore proprio a Panatta, che nel turno seguente battè Borg e andò a vincere il torneo. 

Ricordiamo inoltre i successi a Saint-Maur e Rueil Malmaison nel 1967 (su Leclercq e Darmon), quelli di Estoril (su Wilson), Hossegor (su Goven), Maiorca (su Velasco) e Le Toquet (su El Shafei) nel 1968. Il titolo più importante della carriera lo colse però nel 1969 a Buenos Aires quando sconfisse Kodes, Emerson ed in finale Franulovic. Buonissimi piazzamenti negli anni successivi, quando si mantenne sempre fra i Top 50: finale al torneo settembrino di Parigi (1971), semifinale a Barcellona e Firenze (1973), finale a Monaco e semifinale a Barcellona nel 1974, finale al Cairo e semifinale a Dusseldorf (1975). Ottima stagione ancora nel 1976, che vide Jauffret, 35enne, nuovamente fra i primi 30: menzioniamo le semifinali a Montecarlo, Valencia, Bournemouth e Kitzbuhel. Ultimo acuto nel 1977 quando vinse, a 36 anni, il Grand Prix del Cairo, in finale sul tedesco Gebert. Continuò a giocare per qualche anno, facendo l'ultima apparizione al suo amato Roland Garros nel 1980 (sconfitto da Warwick) e qualche altra comparsa in alcuni challenger francesi. 

In Coppa Davis vanta un bilancio di 34 vittorie e 17 sconfitte in singolare (sconfisse, fra gli altri, Panatta, Barazzutti, Pilic, Gulyas, Kodes, Nastase e Tiriac) e 9 vittorie e 10 sconfitte in doppio. In carriera conta vittorie, oltre che i sui giocatori citati, anche su avversari come Vilas, Solomon, Okker, Orantes, Santana, Emerson e Gerulaitis.



CHI SI RICORDA DI....ANDREW PATTISON?


Un giocatore di notevole qualità, attivo principalmente negli anni '70 fu Andrew Pattison. Nato in Sudafrica, giocò sotto la bandiera della Rhodesia (oggi chiamata Zimbabwe) e in epoche successive acquisì la cittadinanza americana. Pattison era giocatore piuttosto estroso, appartenente alla categoria delle “mine vaganti”, ossia di quei giocatori capaci, nelle giornate di vena, di creare problemi anche ai campionissimi. 

Classe 1949, iniziò a giocare sul circuito mondiale alla fine degli anni '60 e colse il primo risultato interessante giungendo in semifinale al vecchio torneo sudafricano di Port Elizabeth. Il 1972 fu il primo anno in cui si espresse con continuità: ricordiamo soprattutto le tre finali raggiunte nel circuito Grand Prix a Montreal (sconfitto da Nastase), Tanglewood (sconfitto da Bob Hewitt) e Columbus (superato da Connors). Stagione appena discreta fu il 1973 (quarti a Barcellona e Johannesbourg, ottavi agli US Open, dove eliminò il n°1 del mondo Ilie Nastase), con il neonato ranking ATP che lo collocava a ridosso dei Top 50. Il 1974 fu senza ombra di dubbio il suo anno migliore: infilando le due settimane “della vita” Pattison colse due successi consecutivi di enorme prestigio, aggiudicandosi il torneo di Montecarlo (su Nastase) ed il WCT di Johannesbourg (su Alexander). In quell'anno anche una finale a Vienna (superato da Gerulaitis) e le semifinali a Los Angeles, oltre al best ranking di n°24. Negli anni seguenti si mantenne, salvo qualche momento opaco, fra i primi 50 del mondo: nel 1975 giunse in semifinale a Orlando, Charlotte e Chicago e nei quarti agli US Open (suo miglior risultato in uno Slam). Nel 1976 fu finalista a Columbus e Dayton, battuto rispettivamente da Ashe e Jaime Filliol e semifinalista al WCT di San Paolo. Nel 1977, stagione piuttosto negativa, vinse però il Grand prix americano di Laguna Niguel (su Dibley) e fu semifinalista a Newport. Nel 1979 riemerse dopo un 1978 da dimenticare, vincendo il suo quarto ed ultimo titolo, di nuovo a Johannesbourg (su Pecci), andando in semifinale a Baltimora e conquistando numerosi quarti di finale, così tornando fra i Top 50. Ultima stagione interessante fu il 1980, con l'ultima finale (persa a Newport con Vijay Amritraj) e alcuni buoni piazzamenti. 

Progressivamente il suo rendimento calò, sino al ritiro avvenuto nel 1983. In carriera vanta anche 7 vittorie e 12 finali nel doppio, con differenti compagni, e vittorie, fra gli altri, su Borg, Lendl, Smith, Nastase, Drysdale, Ramirez, Roche, Gerulaitis, Hewitt e Adriano Panatta. La foto è stata scattata prorio in occasione del match vinto contro Adriano, a Johannesbourg nel 1975.



PILLOLE DAL PASSATO : WENDY TURNBULL


L'australiana di Brisbane Wendy Turnbull fu una delle giocatrici più brillanti nel corso degli anni '70/80, alle spalle delle grandissime Chris Evert e Martina Navratilova. Classe 1952, Wendy è ricordata col soprannome di “Rabbit”, per via della sua grande velocità in campo. Era una giocatrice piacevole, dotata di un buon tennis d'attacco, secondo i dettami della vecchia scuola australiana: fu capace di raggiungere un best ranking WTA di n°3 e di giocare tre finali in tornei del Grande Slam. Agli US Open del 1977 ed al Roland Garros del 1979 si dovette inchinare a Chris Evert, mentre agli Australian Open del 1980 si arrese ad Hana Mandlikova. Ha però vinto due titoli di doppio a Wimbledon (1978 e 1979 con Melville Reid e Stove) e due agli US Open (1979 e 1982 con Stove e Casals), oltre ad altre 11 finali e 6 titoli di doppio misto. 

In carriera ha disputato 31 finali in tornei WTA, chiudendo con un saldo di 11 vittorie e 20 sconfitte: vinse a Kitzbuhel e Tokyo 1976 (su Ruzici e Gurdal), Detroit e Philadelphia 1979 (su Ruzici e Wade), Hong Kong e Sydney1980 (su Louie e Shriver), ancora Hong Kong 1981 (sulla nostra Simmonds), Brisbane e Richmond 1982 (su Shriver e Austin) e Boston 1983 (sulla Hanika). Da ricordare che nel 1979 fu finalista al Roland Garros in tutti e tre gli eventi: se è vero che perse nel singolare con la Evert, vinse però il doppio con la Stove ed il misto con Bob Hewitt. Nel doppio vanta inoltre una cinquantina di vittorie ed anche la medaglia di bronzo conquistata alle Olimpiadi di Seoul del 1988, in coppia con la Smylie. A testimonianza della sua popolarità, ricordiamo che a Sandgate, area suburbana di Brisbane nella quale è nata, le è stato dedicato un parco. Attualmente risiede a Boca Raton ed è spesso dedita ad importanti attività benefiche, oltre che ad un bel lavoro come commentatrice televisiva e radiofonica.

venerdì 29 novembre 2013

CHI SI RICORDA DI....JIMMY BROWN?


Ricordiamo una vecchia intervista rilasciata da Bjorn Borg a Match Ball alla fine del 1982, nella quale l'Orso annunciava il suo prossimo ritorno al tennis e si dichiarava pronto a riprendere lo scettro di primo giocatore del mondo. Tra le varie cose interessanti riportate in quella intervista, curata dall'ex grande campione Martin Mulligan, Borg indicava i tre campioni del futuro: Mats Wilander, Jimmy Arias e Jimmy Brown. Se i nomi di Wilander e in minor misura di Arias, sono piuttosto noti, meno lo è quello dell'americano Brown. 

Classe 1965, dopo una buona carriera a livello giovanile, divenne professionista nel 1981 ad appena 16 anni: era un regolarista molto a suo agio sulla terra, ma anche abbastanza adatto alle superfici rapide. Nel 1982 lo ricordiamo abbastanza attivo anche nei tornei in Europa: in particolar modo ottenne i suoi migliori risultati nel nostro Paese, raggiungendo le semifinali nei Grand Prix di Venezia e Palermo. Il 1983 fu la sua annata migliore, che gli permise di conquistare il suo best ranking di n°42: fu ancora in Italia che Brown si segnalò, vincendo il torneo challenger del Parioli di Roma in finale su Corrado Barazzutti e perdendo con l'argentino Roberto Arguello la finale del Grand Prix di Venezia. In quell'anno lo ricordiamo anche semifinalista all'indoor di Tolosa e nei quarti di finale degli importanti tornei americani su terra verde di Boston, North Conway ed Indianapolis, oltre che in quello di Palermo. Il calo nel ranking mondiale iniziò però già nell'anno seguente, quando conquistò ancora una finale ATP in Italia, a Firenze, perdendola con Francesco Cancellotti e la semifinale a Bordeaux, ma perse tanti match, scivolando indietro nella graduatoria mondiale. Ultimo anno di un certo spessore fu il 1985, quando perse ancora una finale, a Bordeaux contro Diego Perez, raggiungendo le semifinali a Buenos Aires ed i quarti a Cincinnati. Pochi risultati di rilievo negli anni seguenti, quando stazionò fra il 150esimo ed il 200esimo posto nel ranking mondiale: ricordiamo i 3 successi nel challenger americano di Raleigh (1986, 1987 e 1989) e la quarta ed ultima finale ATP persa nel 1989 a Guaruja, contro l'idolo di casa Luiz Mattar. 

Si ritirò nel 1992, ad appena 27 anni, nonostante apparisse già un veterano. In carriera conta vittorie su avversari come Vilas, Clerc, Cash, Mecir, Teltscher, Higueras, Gilbert, Jaite, Dibbs, Fibak, Kriek, Pecci, Krickstein, Pernfors ed anche un giovanissimo Boris Becker. Attualmente svolge il ruolo di coach in Texas, presso il John Newcombe Tennis Ranch.

CHI SI RICORDA DI....JOHN SADRI?


Abbiamo recentemente letto, per puro caso, la storia dell'ex-giocatore americano John Sadri, che dall'inizio dell'anno sta lottando contro il cancro: nella “terapia” da lui seguita è prevista la possibilità di dedicarsi con assiduità al suo grande amore, il tennis, insegnando ai ragazzi di un piccolo club di Charlotte, sua città natale. 

John Sadri, classe 1956, fu un eccellente giocatore nel corso degli anni '80. Come molti suoi connazionali, la sua formazione tennistica avvenne in ambito universitario: di lui si ricorda in particolare la finale raggiunta nei prestigiosi Campionati Universitari americani NCAA del 1978, nella quale perse addirittura contro John McEnroe! Si trattò di un incontro straordinario, ricordato in molti annali del tennis. In quell'occasione Sadri mise alla frusta il già conosciutissimo SuperMac, perdendo di un soffio un match nel quale servì ben 24 aces e non perse mai il servizio: 76 76 57 76 fu il risultato finale. Dopo aver terminato gli studi, Sadri divenne professionista: già nel 1978 vinse il suo primo challenger, a Lincoln (in finale su un giovane Kevin Curren), ma fu solo nel 1979 che entrò a tempo pieno nel circuito ATP, vincendo il challenger di Raleigh, raggiungendo le semifinali al Tokyo Open e soprattutto al prestigioso Tokyo Seiko. Ma il “botto” arrivò a dicembre, quando giunse a sorpresa in finale agli Australian Open (allora disertati da molti big), perdendo con Guillermo Vilas. 

Il suo eccellente servizio ed il suo brillante serve & volley gli permisero nel 1980 di vincere il suo primo titolo ATP sull'erba di Auckland, contro Tim Wilkison, ed arrivare in semifinale nell'importante torneo di Philadelphia, dove batté alcuni top player. Quell'anno arrivò anche in semifinale a Newport e nuovamente al Tokyo Seiko, ottenendo molti piazzamenti nei quarti e così conquistando il suo best ranking di n°14. Nel 1981 fu, fra l'altro, finalista a Denver (sconfitto da Gene Mayer) e semifinalista al Queen's e nel 1982 vinse proprio a Denver (su Gomez) ed andò in finale al ricco WCT di Mexico City, perdendo con Smid. Ebbe un forte calo nel 1983 (lo ricordiamo in semifinale a Ferrara, sconfitto dal futuro campione Hogstedt....la foto è scattata in questa occasione), quando uscì dai primi 100. Ma tornò rapidamente fra i Top 30: nel 1984 vanno menzionati la vittoria nel challenger di Montreal, le semifinali ad Honolulu, Newport e Treviso e soprattutto i quarti di finale di Wimbledon, sconfitto da John McEnroe. Ancora nei Top 50 nel 1985, che lo vide spesso ottimo piazzato, oltre che protagonista dell'ultima finale ATP della carriera, persa sull'erba di Newport contro Vijay Amritraj. Si ritirò nella seconda metà del 1987, quando ancora era a ridosso dei primi 100 giocatori del mondo. 

Nella sua carriera ha battuto tanti big: Lendl, Smith, Clerc, Kriek, Gomez, Gene e Sandy Mayer, Tanner, Noah, Higueras, Solomon, Kodes...Oggi però sta combattendo il match più importante della sua vita: Good Luck John! Con tutto il cuore..

CHI SI RICORDA DI....PETER LUNDGREN?




Peter Lundgren è noto soprattutto per essere stato il coach col quale Roger Federer ha vinto il suo primo torneo del Grande Slam (Wimbledon 2003); in seguito lo ricordiamo come coach di altri giocatori di buon livello come Wawrinka e Baghdatis. Oggi però vogliamo parlare di lui per la sua attività come giocatore professionista, svolta a cavallo fra gli anni '80 e '90, durante la quale fu capace di ottenere, in alcuni momenti, dei risultati sorprendenti. La peculiarità della carriera di Lundgren è certamente costituita dalla sua notevole discontinuità, che lo portava ad alternare risultati a dir poco clamorosi a dei periodi caratterizzati da una incredibile carenza di risultati. 

Classe 1965, si segnalò per la prima volta nel 1985, entrando direttamente fra i primi 30 giocatori del mondo, grazie ad alcuni ottimi risultati ed al suo primo titolo ATP, quello conquistato a Colonia (in finale sull'indiano Krishnan); in quell'anno conquistò, tra l'altro, anche i challenger di Thessaloniki e Bergen. Annata abbastanza modesta fu invece quella del 1986, nella quale ricordiamo soltanto una semifinale al torneo di Los Angeles ed un notevole calo nel ranking mondiale. Il suo anno migliore fu però il 1987: dopo un inizio di stagione in sordina, Lundgren venne fuori nel corso dell'estate americana, vincendo il torneo di Rye Brook in finale sul' americano John Ross e soprattutto ottenendo il più importante successo della carriera al prestigioso torneo indoor di San Francisco, nel quale superò in semifinale il numero uno del mondo Ivan Lendl ed in finale l'americano Jim Pugh; in quella stessa stagione mertiano una menzione anche le semifinali a Tel Aviv ed i quarti negli importanti tornei di Toronto, Cincinnati, Stoccolma e Scottsdale, oltre che diverse vittorie su giocatori di primissimo livello ed il best ranking di n°25. Il 1988 fu un'annata invece a dir poco negativa che lo vide scivolare indietro nel ranking mondiale, fino a quasi ad uscire dei primi 100 giocatori del mondo, in seguito ad una serie negativa di risultati quasi incredibile; si riscattò però alla fine dell'anno, conquistando contro ogni pronostico la finale nell'importante torneo casalingo di Stoccolma, nel quale batté, fra gli altri, Mecir, Gustafsson e Courier, prima di cedere in finale a Boris Becker. Recuperato un ranking mondiale accettabile, riprese però anche la sua incostanza di rendimento: nel 1989 fu particolarmente efficace sull'erba, dove conquistò la finale al torneo di Newport (persa contro Pugh) ed il quarto turno a Wimbledon, suo miglior risultato in un torneo dello Slam, dove perse da Lendl. 

La sua carriera scivolò poi maniera abbastanza anonima sino al precoce ritiro avvenuto nel 1995, salvo un episodio, come sempre sporadico, avvenuto nel 1990, quando in maniera del tutto inattesa raggiunse la finale al torneo di Indianapolis, dopo aver superato tra gli altri anche Andre Agassi, prima di venire fermato in finale ancora da Becker. In carriera vanta vittorie su molti big, fra cui Lendl, Agassi, Sampras, Wilander, Cash, Courier, Chang, Forget, Curren, Krickstein, Mancini, Chesnokov, Pernfors, Mecir, Jarryd e Jaite.



CHI SI RICORDA DI....LIBOR PIMEK?



Oggi ricordiamo un altro tennista che ebbe un ottimo momento nel corso degli anni ‘80, raggiungendo un best ranking di tutto rispetto, sia in singolare (n°21) che in doppio (n°15). Il cecoslovacco (poi belga) Libor Pimek, classe 1963, era dotato di un fisico piuttosto imponente (1.96 metri la sua altezza) e di un ottimo servizio: queste caratteristiche, unite a due solidi fondamentali e ad un discreto gioco di volo, gli permisero di ottenere dei buoni risultati sul circuito. Nella parte finale della sua carriera, in seguito al matrimonio, acquisì la nazionalità belga: per questo motivo giocò la Coppa Davis sotto due bandiere diverse. 
Libor iniziò a segnalarsi vincendo nel 1982, proprio in Belgio, il challenger di Ostenda, e nel 1983 con una serie di buoni risultati nei vari tornei (tra l’altro semifinali a Lisbona e Gstaad e quarti a Barcellona e Ferrara) si avvicinò ai primi 50 del mondo. Importanti conferme anche nel 1984, quando Pimek entrò meritatamente fra i Top 30 grazie ad alcune vittorie su avversari di prestigio e soprattutto al suo primo ed unico titolo ATP, quello vinto a Monaco di Baviera (in finale su Gene Mayer); da segnalare anche le semifinali a Indianapolis, Columbus e Ginevra ed i quarti a Bari ed Amburgo. Altra buona stagione è quella del 1985, iniziata con il raggiungimento del best ranking di n°21 ed il consolidamento della sua posizione fra i primi 30 del mondo, grazie anche ad ottimi risultati ottenuti sulle superfici rapide, prima di un leggero calo a metà stagione: menzioniamo la finale di Vienna (persa con Gunnarsson), le semifinali di La Quinta e Basilea ed anche i quarti a Montecarlo e Boston. Il 1986 fu l’ultima stagione di rilievo, che vide Pimek fra i primi 50: ricordiamo le semifinali a Wembley e St.Vincent ed i quarti a Roma. Il 1987 si registrò ancora la sua presenza fra i primi 100, nonostante pochi risultati di rilievo. 
Dal 1988 ebbe inizio un’altra carriera: i risultati come singolarista iniziarono ad essere sempre più deludenti (uscì dai primi 200) e Pimek si trasformò di fatto in doppista, abbandonando progressivamente il singolare. Giocò sino al 1999, conquistando un totale di 17 titoli con differenti compagni. Ricordiamo in carriera vittorie su avversari quali: Orantes, Vilas, Mecir, Muster, Jaite, Krickstein, Jarryd, Scanlon, Teltscher, Fibak e Higueras.

CHI SI RICORDA DI.....LAWSON DUNCAN?






Giocatore americano classe 1964, specialista della terra, Lawson Duncan fu attivissimo anche nel nostro Paese, dove disputò tantissimi match. Ebbe il suo anno migliore nel 1985, quando fu capace di arrivare sino al 47° posto nel ranking mondiale e di raggiungere tre finali ATP nel giro di un mese (a Bari, Marbella e Madrid, perdendo rispettivamente da Claudio Panatta, Horacio De La Pena e Andreas Maurer) e conquistare i quarti al Torneo dei Campioni di Forest Hills, dove batté Kriek (ed il nostro amico Guillermo Rivas) prima di cedere a Lendl. Nel 1987 vinse i challenger di Agadir e Casablanca (sul nostro Massimiliano Narducci) e nel 1988 lo ricordiamo vincitore al challenger finlandese di Hanko, semifinalista a Charleston, Firenze e Bari, ma soprattutto finalista nel prestigioso torneo di Boston, dove perse da Thomas Muster. Ancora una finale nel 1989, a Charleston, sconfitto da Jay Berger ed ancora buoni risultati in Italia (semifinali a Firenze e San Marino), oltre al miglior risultato in un torneo dello Slam, il quarto turno raggiunto al Roland Garros, sconfitto da Mats Wilander. Sesta ed ultima finale persa è quella di Firenze nel 1990, quando dopo un buon torneo cedette allo svedese Magnus Larsson, uscito dalle qualificazioni. Rendimento in calo negli anni seguenti e precoce ritiro, anche a causa di alcuni seri problemi al ginocchio. In carriera vanta vittorie su Vilas, Ivanisevic, Gildemeister, Novacek, Berger, Tulasne, Kriek, Mancini, Krickstein, Peres-Roldan, oltre che su tutti i i migliori italiani dell'epoca (Canè, Cancellotti, Camporese e Claudio Panatta).



CHI SI RICORDA DI.....RODNEY HARMON?


Giocatore americano di colore, classe 1961, di tipica estrazione universitaria (vinse il titolo di doppio NCAA nel 1980, in coppia con Mel Purcell), Rodney Harmon ebbe una carriera brevissima. Diventato professionista nel 1983, dopo aver giocato con profitto a livello universitario, si impegnò per alcuni anni nel circuito ATP, ottenendo buoni risultati, arrivando ad un best ranking di n°56 e spesso divertendo il pubblico col suo tennis atletico e spettacolare. Dopo essersi segnalato con la semifinale di Cleveland nel 1981, conquistò la “perla” della sua carriera raggiungendo sorprendentemente i quarti di finale agli US Open del 1982, come amateur: in quell'occasione sconfisse, uno dopo l'altro, il tedesco Rolf Gehring, lo svedese Henrik Sundsrom e gli americani Scott Davis ed Elliot Teltscher, prima di cedere di fronte al futuro campione Jimmy Connors. Da segnalare in quell'anno anche i quarti a Washington (dove batté Raul Ramirez) e Stowe. Negli anni seguenti il suo rendimento fu discreto: segnaliamo la vittoria su Vilas a Cincinnati 1984 e, sempre nello stesso anno, la semifinale raggiunta sull'erba del Queen's, dove perse dal connazionale Leif Shiras. In quell'anno vinse inoltre una maratona a Wimbledon con Emilio Sanchez, prima di cedere all'ingiocabile John McEnroe. Lasciò il tennis molto presto, alla fine del 1985: attualmente svolge l'incarico di Head Coach tennistico del team femminile dell'Università della Georgia. Da ricordare il fatto che Harmon fu preferito a John McEnroe nel ruolo di coach del team americano maschile di tennis alle Olimpiadi di Pechino del 2008.

[La foto è tratta dal numero del Tennis Italiano che racconta l'edizione 1982 degli US Open.].



giovedì 28 novembre 2013

LEGGENDE DEL TENNIS : EVONNE GOOLAGONG




Evonne Fay Goolagong, elegantissima aborigena australiana è una delle leggende del tennis femminile. Nata a Griffith, nel New South Wales, il 31 luglio del 1951, ebbe un'infanzia piuttosto povera, figlia di un tosatore di pecore itinerante e con ben sette fra fratelli e sorelle. Come racconta Bud Collins, crebbe in un ambiente prevalentemente rurale, nella piccola cittadina di Barellan, dove fu spinta al tennis da un tale Bill Kurtzman, concittadino amante di quello sport, del tutto sconosciuto alla sua famiglia. Agile, rapidissima, dotata di fulminei riflessi e grande temperamento, Evonne fu immediatamente notata da Vic Edwards, proprietario di una scuola di tennis a Sydney, che convinse la sua famiglia a darle il permesso di trasferirsi a casa sua, nella metropoli australiana, in modo tale da poter essere adeguatamente seguita ed allenata. 

Il resto è storia: nel 1971 vinse il suo primo titolo Slam, al Roland Garros (in finale sulla Gourlay), bissato poco dopo dal primo fantastico titolo a Wimbledon, vinto superando in finale la leggenda della sua infanzia, la mitica Margaret Court, detentrice del Grande Slam. Amatissima a Wimbledon, per la sua grazia ed eleganza in campo e fuori, giocò e perse altre tre finali (1972 e 1975 con Billie Jean King e 1976 con Chris Evert). Da menzionare anche i quattro titoli consecutivi conquistati agli Australian Open, dal 1974 al 1977. 
Ma l'impresa forse più clamorosa fu quella compiuta a Wimbledon nel 1980: dopo il matrimonio con l'inglese Roger Cawley, dal quale ebbe nel frattempo le prime due figlie, riuscì a diventare la prima mamma campionessa di Wimbledon, dai tempi di Dorothea Douglass Chambers (vincitrice nel 1914). Quell'anno Evonne vinse un solo torneo, ma scelse il più prestigioso: e lo fece battendo le due giovani rampanti Hana Mandlikova e Tracy Austin e, in finale, Chris Evert. Poco fortunato invece il record registrato agli US Open, dove è stata l'unica donna capace di perdere ben quattro finali consecutive (dal 1973 al 1976, contro Court, King e due volte con la Evert). Giocò un po' scartamento ridotto anche nei primi anni '80, lasciando il tennis nel 1983, con 7 titoli Slam in singolare (e 11 finali perse), 6 in doppio (5 in Australia ed uno a Wimbledon, nel 1974 con l'americana Peggy Michel) ed uno in doppio misto (a Parigi, nel 1972, con Kim Warwick). In totale nel suo palmares circa una settantina di titoli in singolari, compresi anche i due Masters vinti nel 1974 e 1976, sempre in finale con la Evert.

Concludiamo ricordando un aneddoto da noi citato alcuni mesi fa: nel 2007 la WTA le consegnò un premio speciale (possiamo vederlo nel collage di foto), per porre rimedio ad un errore compiuto nel 1976 e le venne retroattivamente riconosciuto il primo posto mondiale per due settimane con 21 anni di ritardo!!

LEGGENDE DEL TENNIS : VITAS GERULAITIS


Alcuni campioni sono rimasti e rimarranno impressi nella memoria collettiva per le loro tante vittorie, mentre altri, pur avendo vinto molto meno, restano nel cuore degli “aficionados” per il loro modo di interpretare il tennis e per essere dei personaggi assolutamente ed innegabilmente diversi. E' il caso ad esempio di Adriano Panatta che, a ben guardare, non ha vinto poi tanto in rapporto ai grandissimi, ma che tutti noi ricordiamo come fuoriclasse assoluto, per il suo modo di giocare e in generale per il suo approccio al tennis ed alla vita. Come lui anche Vitas Gerulaitis, campione e personaggio semplicemente indimenticabile, in campo e fuori, e protagonista assoluto di un tennis che ormai non esiste più. Ai suoi tempi era un po' il “primo dei secondi”, sovrastato dallo strapotere di Borg, McEnroe e Connors, ma gestiva questo suo ruolo in modo esemplare. Molte le chiacchiere sul suo conto, qualcuna fondata, la maggior parte no: Gerulaitis era un professionista al 100%, in caso contrario non avrebbe mai ottenuto i risultati che hanno impreziosito la sua meravigliosa carriera. 

Nato a Brooklyn nel 1954, Vitas era figlio di due emigranti lituani, Vitas senior e Aldona: il padre negli anni '30/40 fu un buon giocatore, considerato il n°1 del suo Paese e campione nazionale nel 1938. Si riciclò come maestro di tennis a New York, puntando le sue carte sui due figli, Vitas e Ruta. I primi anni americani dei Gerulaitis furono duri. Vitas senior, interrogato, sulla spiccata “propensione alla spesa” del figlio, diceva “ricordo i primi anni della nostra vita in America come una punizione; per questo oggi non posso biasimare mio figlio se compera tutto quello che vuole: ha tutti i soldi e mille ragioni per farlo!”. Se Ruta, di un anno più giovane, ebbe una carriera non straordinaria, raggiungendo una finale WTA in doppio e qualche discreto piazzamento in singolare (anche un quarto di finale al Roland Garros nel '79), arrivando come massimo intorno al n°30 del ranking mondiale, con Vitas la storia fu diversa. Formatosi alla scuola del grande “guru” australiano Harry Hopman, ebbe una buona carriera giovanile (lo ricordiamo perdere due finali consecutive all'Orange Bowl, nel 1971 e 1972, contro Barazzutti e Borg), il suo tennis classico e completo, la sua straordinaria agilità, lo portarono a livelli di assoluta eccellenza. Vinse un solo titolo Slam, quello degli Australian Open del 1977 (in finale su John Lloyd), ma andò in finale sia al Roland Garros (1980, sconfitto da Borg), che agli US Open (1979, superato da McEnroe). Indimenticabile anche la semifinale persa a Wimbledon nel 1977 contro Bjorn Borg, al quinto set, in quello che viene ricordato come uno dei più begli incontri nella storia del tennis. Proprio Borg fu l'autentica “ossessione” di Vitas: i due, legati da un'amicizia fraterna, si affrontarono ben 17 volte, proprio a partire da quella finale dell'Orange Bowl del 1972, ma Vitas non riuscì mai a spuntarla. Fu Bjorn l'unico fuoriclasse che non riuscì mai a sconfiggere. Nella sua splendida carriera, che lo portò sino al terzo posto del ranking mondiale, ricordiamo 25 titoli ATP su un totale di 54 finali (compreso l'Open d'Australia già menzionato), fra cui due successi a Roma nel 1977 e nel 1979. Pur non essendo uno specialista del doppio, come tutti i suoi contemporanei si disimpegnò egregiamente pure in questa disciplina, togliendosi anche la soddisfazione di vincere un titolo a Wimbledon nel 1975, in coppia con Sandy Mayer. Giocò ad alti livelli anche in Coppa Davis, chiudendo con un saldo di 11 vittorie e 3 sconfitte: lo ricordiamo protagonista dell'edizione del 1979 quando, con McEnroe, Lutz e Smith, formò uno squadrone imbattibile, che piegò gli azzurri nella finale a senso unico di San Francisco. Vinse il suo ultimo torneo proprio in Italia, all'indoor di Treviso nel 1984, regalando gli ultimi sprazzi di un tennis sublime. Decise di ritirarsi all'inizio del 1986, ormai stanco e privo di stimoli. Ma il destino gli regalò pochi scampoli di vita: il 18 settembre del 1994, a 40 anni appena compiuti, una stufa difettosa lo portò via da questo mondo. A portare la sua bara c'erano ancora loro, i suoi amici di sempre: Bjorn, John e Jimbo.

VECCHIE STORIE : LA COPPA DAVIS 1980


Il doppio successo in Coppa Davis della Repubblica Ceca (2012-2013), ci ha fato ricordare che, quando ancora si chiamava Cecoslovacchia (ed era unita, appunto, alla Slovacchia), mise in bacheca già una volta l'ambita insalatiera d'argento. Era il 1980 e si giocava l'ultima edizione divisa in tabelloni “zonali” che poi andavano a confluire verso altri “interzone”, che conducevano, per concludere, direttamente alla finale. Dall'anno dopo, anche in seguito a quanto accaduto in quella finale, si passò all'attuale formula ad eliminazione diretta, con tabelloni “zonali” nelle serie inferiori. 

Quell'anno la Cecoslovacchia, che schierava il ventenne Ivan Lendl, Tomas Smid, Pavel Slozil e, come riserva di lusso, il vecchio leone Jan Kodes, iniziò sconfiggendo facilmente la Francia a Praga (5-0), per poi liquidare, con altrettanta facilità, la Romania, priva di Nastase, a Bucarest. Il capolavoro fu però compiuto nella semifinale contro l'Argentina a Buenos Aires (stessa sede nella quale i sudamericani avevano superato i campioni carica degli U.S.A. di John McEnroe): in questo match scoppiarono apertamente le polemiche fra i due campionissimi argentini, Guillermo Vilas e Josè Luis Clerc, ed Ivan Lendl fece il fenomeno, sconfiggendo Vilas, trascinando Smid ad un successo in doppio contro i “nemici” Vilas-Clerc e quindi chiudendo i giochi contro Clerc nella giornata finale. 

Nell'atto finale il destino gli offrì la squadra italiana, alla quarta finale in 5 anni, brillantemente approdata a quella finale, soprattutto grazie ad un grande match vinto al Foro Italico con l'Australia di McNamara e McNamee. Il match di Praga, giocato sul veloce, è ricordato soprattutto per i clamorosi furti arbitrali subiti dal nostro team, abilmente orchestrati dall'ineffabile giudice sedia locale (e infatti dall'anno seguente si optò sempre per un giudice di sedia “neutrale”) Antonin Bubenik, un ingegnere informatico, diventato il triste simbolo di quella finale. In un susseguirsi di errori, interruzioni (molti ricorderanno alcuni nostri tifosi “sequestrati” dalla polizia locale, un nostro connazionale fermato e malmenato, l'intervento dell'allora presidente FIT Paolo Galgani che fece interrompere il gioco sino alla liberazione dell'ostaggio...) polemiche, Smid rimontò due set ad Adriano Panatta, Lendl sconfisse facilmente Barazzutti, dopo aver ceduto il primo set. Nel doppio la “sagra del furto” proseguì in maniera, se possibile, ancora più vergognosa e Panatta-Bertolucci furono sconfitti in cinque set dal trio Lendl-Smid-Bubenik. La Cecoslovacchia vinse: forse l'avrebbe fatto anche senza quegli aiuti, ma lo sport in quei giorni uscì duramente sconfitto.

PILLOLE DAL PASSATO : ANKE HUBER


Non deve essere stato facile per Anke giocare all'ombra di una connazionale dello spessore di Steffi Graf, negli anni in cui anche Boris Becker e Michael Stich andavano per la maggiore. Eppure anche la Huber si è ritagliata una carriera di tutto rispetto, arrivando sino al quarto posto del ranking mondiale, enza troppi clamori ma con molta caparbietà e continuità. Giocatrice solida, dotata di un potente diritto e di un efficace gioco da fondo, riuscì ad essere competitiva su tutte le superfici, pur preferendo quelle veloci. 

Nata nel 1974, esordì nel circuito WTA nel 1990, giungendo al terzo turno degli Australian Open (sconfitta da Raffaella Reggi) e raccolse moltissimi buoni piazzamenti: una finale Slam (in Australia nel 1996, sconfitta da Monica Seles) ed una semifinale a Parigi nel 1993, oltre a 12 titoli su 23 finali disputate. Questo il suo palmares: Schenectady 1990, Filderstadt 1991 (sulla Navratilova), Kitzbuhel 1993, Styria, Fildestatdt e soprattutto Philadephia 1994 (gli ultimi due in finale sulla Pierce), Lipsia 1995, Hertogenbosch (su erba), Lipsia e Lussemburgo 1996, Estoril e Sopot 2000. Per lei anche il successo nella Fed Cup del 1992 (con la Graf) e nella Hopman Cup del 1995 (con Becker). Condizionata da alcuni problemi alla famiglia, preferì ritirarsi nel 2001, a soli 27 anni, al termine delle WTA Finals di quell'anno, giocate a Monaco di Baviera. Nota per essere stato a lungo fidanzata col giocatore ucraino Andrei Medvedev, si è poi costruita una famiglia con un connazionale, continuando ad occuparsi di tennis.

(foto: Ron Valle - Tennis Server.com)

PILLOLE DAL PASSATO (ITALIA) : STEFANO PESCOSOLIDO


Guarda chi ti pesco!”, titolava Match-Ball circa 20 anni fa....Stefano "Pesco" Pescosolido è stato un giocatore che ha forse ottenuto meno di ciò che avrebbe potuto: originario di Arce (vicino a Sora, dove nacque), classe 1971, svolse una buona attività a livello giovanile (vinse anche il Trofeo Bonfiglio nel 1989) e passò in seguito al professionismo, raggiungendo nel 1992 un best ranking di n°42. Cresciuto sulla terra rossa, vinse il suo primo torneo di rilievo al challenger del Parioli di Roma nel 1989 (titolo poi bissato nel 1991), ma ottenne i migliori risultati sulle superfici veloci, sulle quali conquistò i suoi due titoli ATP (Scottsdale 1992 e Tel Aviv 1993, in finale rispettivamente su Brad Gilbert e Amos Mansdorf) ed alcuni altri buoni piazzamenti. A suo agio anche sull'erba, dove giocò alcuni buoni match e vinse il chalnger di Bristol. 

Tanti i match che ricordiamo di un giocatore dotato di un dritto micidiale e di un ottimo servizio, oltre che di un buon tocco di palla, ma spesso frenato da qualche limite fisico e caratteriale: in particolare ci piace pensare a quel match di Coppa Davis a Madrid nel 1994, quando battè Carlos Costa (rimontando due set di svantaggio) e per due set diede un'autentica lezione di tennis a Sergi Bruguera, all'epoca fra i più forti giocatori del mondo (forse il più forte sulla terra) e lasciandogli un solo game. Due i ricordi negativi: il tremendo match di Maceiò, in Coppa Davis (1992), quando nel quarto set dell'incontro decisivo con Jaime Oncins fu colto da crampi, probabilmente di origine psicologica, e fu costretto al ritiro, portato fuori dal campo a braccia. Lo spiacevole incidente avvenuto a Sydney nel 1992, durante il match contro l'australiano Johan Anderson: Pescosolido, che in campo aveva un comportamento ineccepibile, quella volta ebbe un momento di rabbia e scagliò la racchetta per terra, la quale malauguratamente rimbalzò e finì fuori dal campo, ferendo una spettatrice ad un occhio. La ragazza iniziò a sanguinare e Pesco, costernato, uscì immediatamente dal campo per soccorrerla e scusarsi con lei: fu logicamente squalificato, ma da gentiluomo quale è sempre stato rivolse le sue ulteriori, sincere, scuse alla ragazza (che accettò), offrendole un mazzo di fiori.

Se è vero che ha perso molti match con avversari più che abbordabili, è altrettanto vero che è eccezionale la serie di vittime illustri messe insieme dal nostro giocatore: Agassi, McEnroe, Muster, Chang, Krajicek, Bruguera, Gilbert, Forget, Hewitt, Rosset, A.Costa, Corretja, Philippoussis, Henman, Emilio Sanchez, Jaite, Tulasne, Gustafsson, Novak, Chesnokov e Novacek sono alcuni dei campioni sconfitti da Pesco. Nella seconda metà degli anni '90 la sua carriera subì una forte flessione e il ranking ne risentì al punto che dovette giocare prevalentemente dei tornei minori. Ricordiamo di averlo visto, personalmente, vincere il challenger di Olbia nel 1999 (su Galimberti) ed il future di Oristano, nel 2001 (su un francese, tale Cadart).

LEGGENDE DEL TENNIS : PANCHO GONZALES

L'americano Ricardo Alonso Gonzalez, noto come Pancho Gonzales, fu un giocatore strepitoso, inserito a pieno titolo nel lotto dei più grandi di tutti i tempi. Nato nel 1928, in un sobborgo di Los Angeles, da una modesta e numerosa famiglia originaria del Messico (Chihuahua, per l'esattezza), ebbe un'infanzia ribelle, da monello da strada, sinché la madre non ebbe la brillante idea di regalargli per Natale una racchetta da tennis. Aveva 14 anni e la sua storia personale cambiò: iniziò a dedicarsi al tennis con tutto il suo impegno, senza l'aiuto di alcun maestro. I risultati scolastici ne risentirono immediatamente provocando la sua espulsione dalla scuola: fu riammesso solo perché alcuni insegnanti si accorsero delle sue straordinarie qualità sportive (elemento fondamentale negli U.S.A.). Allora il tennis californiano, e non solo, era in mano al coach Perry Jones, mentore di Alex Olmedo e poi capitano di Coppa Davis, il quale dopo un frettoloso test bocciò Pancho, giudicandolo abulico e poco combattivo. Fu allora, si racconta nella sua biografia, che giurò a sé stesso: “diventerò il più grande giocatore di tennis del mondo”.

Dopo aver dominato a livello giovanile iniziò a giocare i tornei “amateur" (per dilettanti) sino all'inizio del 1950, diventando professionista a soli 22 anni e con appena sei tornei dello Slam disputati (e 2 vittorie agli U.S. Championships del 1948 e 1949). Amante del gioco d'azzardo, della vita notturna e delle belle donne, un personaggio come Pancho non poteva non attrarre il grande Jack Kramer, deus ex-machina del tennis professionistico, il quale gli offrì un contratto, all'epoca sontuoso, di centomila dollari per unirsi alla sua “troupe” di professionisti: Gonzalez , che ne frattempo aveva modificato il suo cognome in Gonzales, accettò. Troppo forte in lui era il richiamo del danaro, per ottenere quel riscatto sociale che, in fondo, aveva sempre cercato: come noto, i professionisti non potevano prendere parte ai tornei del Grande Slam, dunque il saldo dei suoi titoli era destinato a chiudersi, purtroppo, a due soli successi. Iniziò quindi il 25 ottobre del 1949 la sua sfida interminabile proprio contro il grandissimo Kramer, che gli inflisse un pesantissimo, e famosissimo, 96-27.

Ma Pancho non si scoraggiò, non era nella sua indole: come professionista svolse un'attività intensa, cogliendo dei risultati straordinari e memorabili, sfidando tutti i più grandi della storia (oltre a Kramer anche Budge, Olmedo, Sedgman, Trabert, Hoad, Rosewall, Laver etc.) e rimanendo per otto anni n°1 del mondo: vinse inoltre ben 12 titoli dello Slam professionistici, secondo in questa graduatoria al solo Ken Rosewall. Tutto questo nonostante all'inizio degli anni '50 avesse temporaneamente abbandonato il tennis, attratto dalla possibilità di godere pienamente il denaro guadagnato. Nel 1968, con l'avvento dell'era Open, ormai quarantenne, riuscì ancora dire la sua, senza purtroppo poter incrementare il bottino di Slam “tradizionali. Spetta a lui il primato (in tal caso negativo) di primo professionista sconfitto da un dilettante (il forte mancino inglese Mark Cox) in un torneo Open: accadde nello storico torneo di Bournemouth del 1968, ossia il primo evento Open della storia del tennis. Di lui si ricorda l'incredibile match giocato a Wimbledon nel 1969 (a 41 anni suonati), prima dell'avvento del tie-break, nel quale batté Charlie Pasarell, portoricano-americano di 16 anni più giovane, col punteggio di 22-24 1-6 16-14 6-3 11-9, stabilendo un record battuto solo dallo storico Isner-Mahut del 2010.

Detiene inoltre il record, crediamo insuperabile, di giocatore più anziano capace di vincere un titolo ATP: accadde nel febbraio del 1972 a Des Moines, nello Iowa, quando a 43 anni e 10 mesi vinse il torneo sconfiggendo in finale il francese Georges Goven e rimontando, tanto per cambiare, uno svantaggio di due set a zero. Scomparve in semi-povertà nel 1995, assistito dalla moglie Rita Agassi (sorella di Andre), sua sesta moglie; di lui il grande Bud Collins disse “se dovessi scegliere un tennista al quale far giocare il match decisivo per salvare la mia vita, non avrei dubbi: sceglierei Pancho Gonzales”.


LEGGENDE DEL TENNIS : LEW HOAD


Quando si parla di leggende del tennis si fa, necessariamente, il nome di questo straordinario giocatore australiano, del quale esistono purtroppo solo pochi riflessi filmati ed il ricordo di chi, come Clerici e Tommasi, ha avuto la fortuna di vederlo giocare dal vivo. Nato a Glebe il 23 novembre del 1934, morì nel 1994, a soli 59 anni, stroncato dalla leucemia. Considerato il “gemello” di Ken Rosewall (erano soprannominati “I Gemelli Stregoni”), del quale era amico e coetaneo, era un tennista che sprigionava una potenza fino ad allora quasi sconosciuta: era un giocatore d'attacco che coniugava l'eleganza del gesto ad una solidità fuori dal comune. Amava la vita e se la godette appieno, forse anche per questo vinse molto meno di quanto avrebbe potuto. 
Inoltre, come per molti suoi contemporanei è difficile misurare la reale grandezza di Hoad se si tiene conto dei soli titoli del Grande Slam: come detto molte volte, l'ottusità dei dirigenti dell'epoca “obbligava” i giocatori che volevano fare del tennis la propria professione ad essere quasi degli “esiliati”, costretti a giocare”per denaro” in circuiti professionistici. Così avvenne per Lew Hoad, il quale nel 1956 fu ad un passo dal completare il Grande Slam: vinse, giocando alla grande, gli Open d'Australia, il Roland Garros eWimbledon, prima di essere fermato, ad un passo dall'immortalità, proprio dall'amico Ken Rosewall nella finale degli US Open di Forest Hills. Vinse 3 volte la Coppa Davis (con un bilancio di 21 vittorie e 3 sconfitte) e 8 Slam di doppio, con Ken ovviamente, fino a quando, dopo il nuovo trionfo a Wimbledon del 1957 (dominando in finale il connazionale Ashley Cooper) non cedette al richiamo del professionismo: là diede vita ad alcune epiche sfide col solito Rosewall e con Pancho Gonzales e disputò otto finali Slam Pro, perdendone peraltro sette (da Gonzales e Rosewall) e vincendo solo il Tournament of Champions di Forest Hills del 1959. I problemi alla schiena che lo tormentarono durante tutta la carriera di fecero progressivamente più gravi e Hoad fu costretto a ritirarsi precocemente, senza poter avere la possibilità di scrivere qualche pagina importante anche nell'Era Open. Si trasferì a Fuengirola, vicino a Malaga, con la moglie e i tre figli, creando un Tennis Resort. Ci lasciò troppo presto, per entrare nella Leggenda del nostro sport.



PILLOLE DAL PASSATO : PETER McNAMARA



Giocatore piuttosto popolare nel nostro Paese, per le numerose partecipazioni ai tornei italiani e per un'epica sfida di Coppa Davis giocata al Foro Italico nel 1980 e vinta dagli azzurri, trascinati da uno strepitoso Adriano Panatta. I nomi “McNamara-McNamee” sono diventati quasi un scioglilingua e sono entrati nella storia come una dei doppi più forti degli ultimi decenni. 

In realtà il più forte dei due era certamente McNamara, classe 1955, dotato di un brillantissimo gioco d'attacco, ma anche capace di reggere alla grande lo scambio da fondo campo, cosa che lo rendeva molto competitivo anche sulla terra rossa. Ebbe una carriera buona ma non eccezionale fino all'inizio degli anni '80, navigando intorno al 40°/50° posto del ranking ATP e conquistando due successi, entrambi sulla terra, a Berlino nel 1979 e Bruxelles outdoor nel 1980. A questo punto, improvvisamente, cambiò marcia ed il suo rendimento crebbe notevolmente: nel 1981 vinse il grosso torneo di Amburgo, battendo in finale Connors, e l'indoor di Melbourne, sconfiggendo Gerulaitis, conquistando poi altri ottimi piazzamenti (tra i quali i quarti a Wimbledon, sconfitto da Bjorn Borg) che gli permisero di arrivare a ridosso dei primi dieci del mondo. Nel 1982 i miglioramenti proseguirono e, sebbene non riuscì a vincere nessuna delle 5 finali disputate (epica fu l'interminabile finale di Amburgo, persa in 5 tremendi set con Josè Higueras), McNamara entrò fra i primi 10 del mondo. All'inizio del 1983 Peter era ormai considerato uno dei giocatori più piacevoli e apprezzati dal grande pubblico e coronò questo suo stato di grazia giocando in maniera favolosa al prestigioso torneo indoor di Bruxelles, dove superò agevolmente tutti gli avversari, prima di sconfiggere in finale, in tre fantastici set, Ivan Lendl. Con gli applausi e gli elogi di tutti arrivò anche il best ranking di n°7 del mondo e le prospettive di un'ulteriore crescita. 
 Ma il destino non era evidentemente d'accordo: nel torneo immediatamente successivo, a Rotterdam, durante il match di primo turno contro il cecoslovacco Jiri Granat, McNamara si ruppe i legamenti crociati del ginocchio. Il recupero fu lunghissimo ma la sua carriera finì in pratica quel giorno: provò a riprendere ma, nonostante la buona volontà, non riuscì mai neanche lontanamente ad avvicinarsi al bellissimo giocatore di un tempo. 

Nel suo palmares, oltre ai già citati 5 titoli di doppio ed all'ottima partecipazione alla Coppa Davis, vanno annoverati anche 19 titoli di doppio, per lo più conquistati con l'amico Paul McNamee (anche un Open d'Australia nel 1979 e soprattutto i due grandi due successi a Wimbledon, nel 1980 e 1982). Negli ultimi anni ha partecipato a diversi incontri del Senior Tour e svolto l'incarico di coach nel circuito ATP: attualmente segue il promettente bulgaro Grigor Dimitrov.

VECCHIE STORIE : BORG A MILANO (1979)

Questa foto testimonia un evento molto particolare. E’ il mese di marzo del 1979: siamo nel pieno degli anni di piombo, meno di un anno dopo il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro. A Milano si gioca la seconda edizione della Ramazzotti Cup, torneo indoor tappa del circuito WCT: il pubblico pregusta una finale fra il n°1 del mondo Bjorn Borg e John McEnroe, ma qualcosa non va per il verso giusto. Poco prima dell’inizio del torneo vengono recapitate allo svedese della minacce di morte (secondo alcuni fu ipotizzato un suo possibile rapimento), da parte di un gruppo terroristico vicino alle brigate rosse. Borg decide egualmente di partecipare al torneo, ma l’organizzazione decide di farlo seguire in ogni suo spostamento da queste guardie del corpo. Dalla foto traspare tutta la tristezza del n°1 del mondo che in seguito confesserà come furono proprio situazioni simili a farlo allontanare dal tennis. Perderà nei quarti in tre set dall’australiano John Alexander, poi sconfitto in finale da McEnroe: al termine del match chiederà scusa, ammettendo di non essere stato molto concentrato, ma negando l’ipotesi di aver perso volontariamente.

PILLOLE DAL PASSATO : ELIOT TELTSCHER


Il californiano Eliot Teltscher, classe 1959, fu un buon giocatore nel corso degli anni ‘70/80. Come molti suoi connazionali dell’epoca iniziò a farsi notare nell’ambito dell’attività universitaria (giocava per l’università dell’UCLA), per poi passare al tennis professionistico. Grande amico di John McEnroe, si racconta di quando i due, con pochi dollari in tasca, affrontarono da amateurs, la trasferta a Wimbledon, per tentare di superare le qualificazioni: per risparmiare divisero una piccola camera in una modestissima pensione e là maturò una delle più grandi rivelazioni degli ultimi decenni. Era il 1977 e John McEnroe non solo superò le qualificazioni ma arrivò direttamente in semifinale, dove fui fermato solo dall’allora n°1 del mondo Jimmy Connors. Se il mondo aveva scoperto il talento di Mac, per Teltscher (che pure in quel torneo giunse al terzo turno, suo miglior risultato di sempre a Wimbledon) ci volle un po’ più di tempo. 
Dopo un discreto esordio nel 1977, iniziò il 1978 vincendo alcuni challenger ed ottenendo qualche buon piazzamento nei tornei estivi americani e lo concluse conquistando il suo primo titolo ATP ad Hong Kong, in finale su Pat DuPre. Da allora la sua carriera fu in costante ascesa e mise insieme un palmares di tutto rispetto, conquistando altri nove titoli ATP, su un totale di 24 finali: Atlanta 1979 e 1980, su John Alexander e Terry Moor; Maui 1980 su Tim Wilkison; San Juan e San Francisco 1981, sut Tim Gullikson e Brian Teacher; Tokyo 1983, su Andres Gomez; Brisbane e Johannesbourg 1984, su Francisco Gonzalez e Vitas Gerulaitis; e Hong Kong 1987, su John Fitzgerald). Nel 1982, grazie ad una notevole costanza di rendimento ed un buon numero di eccellenti piazzamenti, riuscì ad arrivare sino al sesto posto del ranking mondiale, all’indomani della finale persa agli Internazionali d’Italia di Roma contro l’ecuadoriano Andres Gomez. 
Da segnalare anche una finale di doppio persa al Roland Garros nel 1981 (in coppia con Moor) ed il titolo di doppio misto sempre al Roland Garros nel 1984 con Barbara Jordan. I suoi migliori risultati in tornei dello Slam sono i quarti di finale raggiunti in Australia (1983) ed agli US Open (1980,1981 e 1983) e vanta vittorie su McEnroe (tre volte), Connors, Lendl, Tanner, Solomon, Gottfried, Gerulaitis, Nastase, Noah, Clerc, Cash e Wilander. Di lui ricordiamo infine il match vinto al terzo turno del Roland Garros 1979 contro Adriano Panatta: il nostro giocatore, che aveva acceso grandi speranze superando i primi due turni (con Kodes e Gimenez) e giocando splendidamente, contro Eliot era avanti due a set a zero, quando, secondo le cronache del tempo, “improvvisamente si spense la luce” e Teltscher riuscì a rimontare e vincere. 
Era un regolarista, a suo agio sia sulla terra che sulle superfici veloci: aveva anche un carattere piuttosto vivace, si ricordando alcune clamorose liti, fra cui la più celebre è quella avvenuta nel 1981 in un match di Parigi perso contro Ilie Nastase, al termine del quale prese per il bavero il giudice di sedia, accusandolo di avergli rubato un punto decisivo (vedi una delle foto del collage). Anche a causa di vari problemi fisici, fu poi costretto a rallentare l’attività agonistica fino al suo abbandono, avvenuto a meno di 30 anni. Si dedicò quindi ad attività di coaching, sia a livello universitario che privatamente per alcuni giocatori del circuito (tipo Gimelstob e Taylor Dent ma anche, per un breve periodo, Pete Sampras).

PILLOLE DAL PASSATO (ITALIA) : ANDREA GAUDENZI


Tanti i ricordi di Andrea Gaudenzi, numerosissimi i match visti in televisione, qualche volta dal vivo. Tornei, Coppa Davis...due su tutti riaffiorano nella nostra memoria: quello perso 6-3 7-6 con un Thomas Muster quasi morto in semifinale a Montecarlo nel 1995 (Muster poi, il giorno dopo, sconfisse in finale Becker, rimontando due set di svantaggio e alimentando molti sospetti da parte del tedesco). Ma soprattutto quando, a Milano nel 1998, fu costretto a gettare la spugna nell'incontro di apertura della finale di Coppa Davis che l'Italia aveva riconquistato a 18 anni di distanza dall'ultima. La spalla fece crac, proprio nella fase decisiva del quinto set contro lo svedese Magnus Norman, sul punteggio di 6 pari, segnando irrimediabilmente il destino di quella finale. 
 
Classe 1973, Gaudenzi fu proclamato campione mondiale juniores nel 1990 (vinse Roland Garros e US Open) e, dopo qualche difficoltà iniziale legata anche al rapporto con un coach difficile come Bob Hewitt, la sua carriera professionistica decollò. Iniziò a lavorare col gruppo di Ronnie Leitgeb e Thomas Muster, costruendosi una carriera di tutto rispetto e riuscendo, nonostante i terribili guai fisici patiti, di arrivare fra i primi 20 giocatori del mondo (best ranking n.18) e di essere un ottimo e affidabile giocatore in Coppa Davis, sia in singolare che in doppio (in coppia con Diego Nargiso). Nove le finali ATP disputate, tutte sulla terra, ad eccezione di quella persa sul cemento di Dubai con Wayne Ferreira ne 1995, con 3 vittorie: Casablanca 1998 (con Calatrava), St. Poelten e Bastad nel 2001 (rispettivamente con Hipfl e Ulihrach). Nel suo palmares anche numerosi challenger: citiamo, fra gli altri, Bangalore, Prostejov, Ginevra, Zagabria, Maia, Cagliari e Braunschweig. Solido giocatore da terra rossa, dotato di grande forza fisica e resistenza, lo ricordiamo spesso a suo agio anche sul veloce: ci piace menzionare un suo bel match visto in diretta tv, vinto agli US Open del 1994 contro Jim Courier. 

Vanta in carriera una lista impressionante di vittorie su grandissimi campioni, a partire da due fenomeni come Pete Sampras (al Roland Garros) e Roger Federer (a Roma), per arrivare ad avversari del calibro di Bruguera, Muster, Stich, Krajicek, Krickstein, Ivanisevic, Rafter, Rios, Korda, Kafelnikov, Gilbert, Corretja, Enqvist e Haas. Vessato da ulteriori problemi fisici, lasciò l'attività agonistica nel 2003, a soli 30 anni.

LEGGENDE DEL TENNIS : KEN ROSEWALL

Ken Rosewall, figlio di un droghiere di Sydney, classe 1934: “Il Professore”, “Muscolo”, “Il Piccolo Maestro”, fu l'eroe di un tennis misurato ed elegante, preciso e astuto. La sua straordinaria agilità, il rovescio slice da bacheca, gli hanno consentito di vincere il Roland Garros a 18 anni nel 1953 contro Vic Seixas ed ancora a 34, nel 1968 contro Rod Laver, oltre che di aggiudicarsi due finali a Forest Hills, nel 1956 contro il “gemello” Lew Hoad (autore quell'anno di tre quarti di Slam, fermato solo da Ken sulla strada della storia) e poi di nuovo nel 1970 contro Tony Roche. Undici anni passati tra i professionisti, dal 1957 al 1967, gli hanno regalato il primato fra i “belli” di Jack Kramer, fra l'era di Gonzales e quella di Rod Laver, rendendolo il più vincente con 15 “Slam Professionistici”, ma con tutta probabilità gli hanno sottratto un trionfo a Wimbledon, l'unico rimpianto della sua carriera. 
Sui campi inglesi Rosewall ha stabilito comunque un record imbattibile, raggiungendo due finali a 20 anni di distanza, sconfitto nel 1954 da Jaroslav Drobny e nel 1974 da Jimmy Connors (e nel mezzo perse altre due finali, contro Hoad nel 1956 e Newcombe nel 1970). Per lui anche 4 titoli agli Australian Open (1953,1955,1971 e 1972) e tre edizioni della Coppe Davis, da protagonista al debutto nel 1953 (a 19 anni), nel 1955 e 1956, più la convocazione nel 1973, al suo ritorno nella manifestazione, quando però in finale contro gli U.S.A. a Cleveland gli furono preferiti Rod Laver e John Newcombe (che stritolarono gli americani, rifilandogli un secco 5-0). Vinse le prestigiose finali di Dallas WCT nel '71 e nel '72, sempre contro Rod Laver, partecipò a due edizioni del WTT (1974 e 1976), il campionato intercittà americano ed è ricordato come il vincitore del primo torneo dell'era Open, quello di Bournemouth del 1968, sempre in finale sul solito Laver. Nel 1979, pago degli 8 titoli conquistati nei tornei dello Slam (più i 15 professionistici per un totale complessivo di 23) e dei molti dollari accumulati con oltre 130 vittorie in carriera, durante il torneo di casa sua, Sydney, annunciò il proprio ritiro. Nel 1980, al torneo indoor di Melbourne, vinse un ultimo match, battendo, a quasi 46 anni, il n°49 del mondo l'americano Butch Walts.

CHI SI RICORDA DI.....PAUL ANNACONE?


Rievochiamo un giocatore che ci colpì molto in passato. Oggi conosciuto per essere stato a lungo il coach di Roger Federer, l'americano Paul Annacone, fu un tennista di alto livello, capace negli anni '80 di avvicinarsi ai top ten e di ottenere eccellenti risultati anche nel doppio. Classe 1963, era un classico giocatore di estrazione universitaria, molto abile nel serve & volley e dotato di un servizio di grandissima qualità e notevole potenza. Ricordiamo chiaramente di averlo visto per la prima volta nel 1984, quando, partendo dalle qualificazioni (era n°243), riuscì ad arrivare sino ai quarti di finale del torneo di Wimbledon (sua miglior prestazione in carriera nei tornei dello Slam): in quell'occasione sconfisse nel quarto turno Johan Kriek, prima di cedere in tre set a Jimmy Connors, in un match trasmesso in diretta dalla Rai. Fu allora che qualcuno ipotizzò il suo passaggio sotto la bandiera italiana, sfruttando le sue chiare origini: non se fece naturalmente mai nulla. 

Entrato fra i primi 100, Annacone portò avanti una carriera di tutto rispetto, arrivando sino al 12° posto del ranking mondiale e conquistando tre titoli ATP su sei finali disputate: Los Angeles e Brisbane 1985 (rispettivamente su Edberg ed Evernden) e Vienna 1989 (ancora sul neozelandese Kelly Evernden). Dopo un eccellente 1985, nel quale disputò anche il Masters di fine anno (con formula “allargata”), il suo rendimento calò sensibilmente, permettendogli comunque di mantenersi fra i primi 30/50 giocatori del mondo. In carriera vanta vittorie, fra gli altri, su McEnroe (più volte), Sampras, Edberg, Wilander, Courier, Leconte, Gomez, Curren, Gilbert, Korda e Mecir. Fu anche un ottimo doppista, prevalentemente in coppia col sudafricano Christo Van Rensburg, con il quale si aggiudicò gli Australian Open nel 1985 (in finale su Edmondson e Warwick); vinse in totale 14 titoli e raggiunse un'altra finale Slam agli US Open del 1990, questa volta col connazionale David Wheaton, perdendola contro i sudafricani Aldrich e Visser. Prima di diventare coach di Federer, seguì Pete Sampras, Tim Henman, oltre che alcuni programmi specifici per conto della Federazione americana e di quella inglese (fu anche capitano del tam britannico di Coppa Davis).

(photo by Russ Adams – courtesy of Tennis in New York)

PILLOLE DAL PASSATO (ITALIA) : SABINA SIMMONDS

C'è stato un momento nel quale, a differenza di oggi, il tennis femminile italiano non offriva delle protagoniste di grande rilievo. La Reggi e la Cecchini erano giovanissime e stavano appena “sbocciando”, Barbara Rossi (oggi valida commentatrice) aveva delle importanti doti di intelligenza tennistica, non pienamente supportate da analoghe qualità fisiche e tecniche, Pat Murgo, grande promessa a livello giovanile, non riusciva a sfondare nel circuito pro. 

Allora nei primi anni '80 la nostra giocatrice di punta era Sabina Simmonds, nata a Londra nel 1960, da padre polacco e madre italiana: visse sino ai 16 anni Sudafrica, assunse la nazionalità italiana nel 1978. Già segnalatasi per le finali perse a Barcellona nel 1978 (dalla giovanissima Hana Mandlikova) e Hong Kong nel 1981 (da Wendy Turnbull), nel 1982 si parlò con grande enfasi del suo successo, dopo svariati anni di astinenza per i colori azzurri, all'Avon Futures di Bakersfield (era un circuito americano di tornei con 40mila dollari di montepremi, le cui vincitrici potevano giocare per alcune settimane nei tabelloni principali altri tornei “maggiori” dello stesso circuito); fecero seguito la semifinale nel grosso torneo di Dallas, dove batté la Smith e la Allen, prima di cedere a Mima Jausovec, la semifinale di Austin (persa con Helena Sukova), il terzo turno a Wimbledon (sconfitta da Virginia Ruzici), un'altra bella semifinale a Dallas (perse dalla fortissima Andrea Jaeger) e vittorie su avversarie come Mandlikova, Sukova, Ruzici, Kiyomura, Si ritrovò al 26° posto mondiale (e non 31° come indica, erroneamente, il sito della WTA), premiata dall WTA come “Most Improved Player” dell'anno (giocatrice che ha ottenuto i più consistenti miglioramenti). Ma da quel momento entrò in una crisi di fiducia e di risultati (salvo qualche eccezione come un altro terzo turno a Wimbledon) che la fece precipitare nel ranking WTA e perdere, probabilmente, la voglia di continuare. 

Si ritirò, ancora giovane, nel 1987 con un plamares che, oltre a quanto ricordato, comprendeva altri successi in tornei minori quali Rimini, Perugia, Taormina, Stoccarda, Loano, Catania, Nicolosi, Ginevra e Gstaad. Attualmente insegna tennis a Sanremo, dove risiede,

VECCHIE STORIE : LE DISAVVENTURE DI REGINA MARSIKOVA

Giocatrice cecoslovacca classe 1958 dotata di ottimo talento, fu vicina alle prime 10 giocatrici del mondo fra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni 80. Nel suo palmares 4 titoli: il successo agli Internazionali d'Italia di Roma del 1978 (contro la Ruzici), l'Open del Canda del 1978, Phoenix 1980 e Amburgo nel 1981; inoltre anche tre semifinali consecutive al Roland Garros (dal 1977 al 1979) ed il titolo di doppio sempre a Parigi nel 1977. All'apice della carriera capitò però l'”intoppo” che condizionò irrimediabilmente il suo futuro tennistico: guidando in stato di ebrezza, fu coinvolta in un grave incidente stradale che portò alla morte di una persona. Rimase in carcere per qualche mese, fra la fine del 1981 e l'inizio del 1982, ma dopo il rilascio le fu impedito di andare fuori dai confini della Cecoslovacchia, fino all'inizio del 1985; prima di allora le fu permesso di giocare solo all'interno del proprio Paese (vinse i Campionati Nazionali). L'ex n°2 del mondo Andrea Jaeger, sua buona amica, andò a farle visita a Praga un paio di volte ed anche la WTA cercò di fare tutto il possibile per facilitare il suo rientro sul circuito: ma le autorità ceche ne fecero una questione di principio, ponendo continui ostacoli. Al rientro fu ancora capace avere un buon rendimento, ritornando fra le primi 50 del mondo, senza però ritrovarsi sui livelli precedenti.