martedì 26 novembre 2013

PILLOLE DAL PASSATO : ANDRES GOMEZ







Il mancino ecuadoriano Andres Gomez, originario di Guayaquil, classe 1960, è senza dubbio una leggenda nel suo piccolo Paese. Figlio dell'importante direttore di una stazione radio, iniziò a giocare all'età di 9 anni, sebbene si dedicasse anche al calcio, al basket, al ping-pong ed alla sua vera passione: il surf. A 17 anni era già così ben introdotto a Palazzo che ogni mattina giocava con l'allora potente presidente della Repubblica Osvaldo Hurtado. Dopo la partecipazione ai Giochi Panamericani, optò definitivamente per il tennis ed il padre, in seguito, lo mandò a perfezionarsi in Florida presso la scuola di Harry Hopman, il grande coach e capitano di Davis australiano dei tempi d'oro. Per questo possiamo affermare che la sua formazione tennistica è prettamente americana. Fu proprio durante uno stage presso l'Academy di Hopman che alla Rossignol venne in mente di formare un'equipe (guidata dall'ottimo Bob Brett) della quale hanno fatto parte le altre due promesse ecuadoriane, Ycaza e Viver, oltre che Clerc, Buehning, Wilkison, Kriek, Mayotte ed in seguito anche Mats Wilander. 
Tennis molto gradevole e completo, adatto sia alla terra che alle superfici veloci, dotato di un insidiosissimo dritto “uncinato”, Gomez divenne professionista nel 1979, iniziando a segnalarsi con qualche buon risultato (tra l'altro semifinali a Monaco e Quito) e avvicinandosi ai primi 50 del mondo. Nel 1980 proseguì la sua crescita (finale a Sarasota, semifinali a Santiago e Quito, quarti ad Amburgo, Madrid, Barcellona e Buenos Aires) entrando tra i Top 50. Il 1981 segnò il suo primo squillo, col successo di Bordeaux (su Tulasne), oltre alla finale di Santiago e le semifinali di Washington, Madrid e Quito; da ricordare un match “epico” perso al tie-break del quinto set agli US Open contro Jimmy Connors, che attirò l'attenzione di molti addetti ai lavori. Il 1982 fu l'anno che lo portò a ridosso di quei top ten tra i quali dimorerà a lungo, e gli permise di qualificarsi per il primo Masters della carriera, in quel momento con la formula a 16 giocatori: il successo (in finale su Teltscher) in un'edizione un po' in tono minore degli Internazionali d'Italia, si accompagnò all'agognato successo nel torneo di casa a Quito (sull'ex promessa francese Courteau), la finale a Denver e le semifinali a Houston, Amburgo, San Paolo e Johannesbourg. Sullo stesso livello il 1983, con Gomez ancora a ridosso dei prima 10, vincitore sul cemento di Dallas (su Teacher), finalista a North Conway, Indianapolis e Tokyo e semifinalista a Barcellona e Wembley. Ma la vera consacrazione giunse nel 1984: ormai 24enne Andres aveva raggiunto la piena maturità ed ebbe inizio un lungo periodo che lo vide costantemente fra i primi 7/8 (con punte al n°5) giocatori del mondo, capace di giocarsela alla pari con tutti i migliori. Nel 1984 ricordiamo il bis a Roma (su Krickstein), Nizza (su Sundstrom), Washington (ancora su Krickstein), Indianapolis (su Taroczy) e Hong Kong (su Smid), la finale persa a Wembley con Ivan Lendl, le semifinali a Boston e Tokyo ed i quarti di finale al Roland Garros, Wimbledon e US Open. Solo un successo (Hong Kong su Krickstein) e un leggero calo di rendimento nel 1985, condizionato da problemi fisici che gli fecero perdere parte della stagione: per lui anche finale ad Indianapolis, semifinale a Fort Myers, Chicago ed al Masters. Tornò ai suoi migliori livelli nel 1986, vincendo ad Indianapolis (su Tulasne), Firenze (su Sundstrom), Boston (su Jaite) e Itaparica (su Fleurian), facendo finale a Kitzbuhel e Hong Kong e semifinali a Fort Myers, Washington e Stoccarda, oltre che i quarti al Roland Garros. Buono anche il 1987 col successo nel prestigioso Torneo dei Campioni di Forest Hills (su Noah), la finale di Francoforte, le semifinali di Dallas WCT, Tokyo, Boston, Ginevra e Johannesbourg e tanti quarti (fra cui ancora di Parigi). Nel 1988, ormai 28enne e leggermente appesantito, Gomez sembrava aver avviato il suo naturale declino: chiuse l'anno, dopo tanto tempo, fuori dai primi 20, senza vincere un solo titolo: le finali di Stoccarda e Washington, la semifinale di Sydney e qualche buon quarto di finale lo tennero a galla, ma sotto i suoi abituali standard. Il 1989 qualche buon segno di ripresa coi successi di Boston (su Wilander) e Barcellona (su Skoff) e le semifinali di Firenze e Basilea, ma il i momenti migliori sembravano ormai passati. 
Incredibilmente il 1990 si rivelò la stagione della vita! Iniziò la stagione perdendo sul carpet di Philadelphia dall'astro nascente Pete Sampras (al suo primo successo in carriera), quindi piazzò alcune belle zampate sulla terra rossa europea, portando a casa i prestigiosi tornei di Barcellona (su Perez Roldan) e Madrid (su Rosset) e arrivando in semifinale a Roma, sconfitto da Muster. A questo punto Gomez era tornato il n°7 del mondo, ma nessuno si azzardava a considerarlo uno dei “papabili” per il trono del Roland Garros. E invece, contro ogni pronostico, il simpatico Andres colse il più clamoroso ed inatteso successo della sua carriera, stupendo un po' tutti (anche sé stesso, immaginiamo): infilò Luna, Filippini e Volkov, usufruì del forfait di Gustafsson e approfittò della sorte che gli propose nei quarti il non irresistibile Thierry Champion. In semifinale diede una sonora lezione a Thomas Muster, che lo aveva appena battuto a Roma ed in finale piegò in 4 set un favoritissimo e sorpreso Andre Agassi, “intortandolo” sul piano tattico. Fu il trionfo di un bravo ragazzo e di un Paese intero”! A questo punto Gomez, n°4 del mondo, sazio di gloria e dollari ebbe una netta flessione: solo una semifinale a Cincinnati e tante sconfitte inattese completarono la sua stagione. 
Continuò a giocare per qualche anno, pur frenato da svariati problemi fisici, vincendo anche un ultimo titolo, al modesto torneo ATP di Brazilia (su J.Sanchez, nel 1991), ma ormai la vena era esaurita. Piazzò qualche altro acuto in doppio, specialità della quale fu uno splendido interprete, specie in coppia col cileno Hans Gildemeister, tanto da diventare n°1 del mondo e vincere oltre 30 titoli (fra i quali un successo agli US Open nel 1986 con Bobo Zivojinovic ed uno Roland Garros nel 1988 con Emilio Sanchez). Si ritirò qualche anno dopo, entrando, a pieno titolo, nella leggenda dello sport del suo piccolo ma fiero Paese.

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